La Chiesa avrà presto 29 nuovi beati, quattro dei quali italiani. Ieri Benedetto XVI, ricevendo in udienza il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ha infatti autorizzato il dicastero a promulgare tredici decreti, riguardanti altrettante cause di beatificazione. Cinque decreti riguardano miracoli attribuiti ad altrettanti venerabili che potranno così essere elevati all’onore degli altari. E cioè: Serafino Morazzone, sacerdote diocesano; nato a Milano il 1° febbraio 1747 e morto a Chiuso di Lecco il 13 aprile 1822; Clemente Vismara, sacerdote missionario del Pime, nato ad Agrate Brianza il 6 settembre 1897 e morto a Mong Ping (Myanmar) il 15 giugno 1988; suor Elena Aiello, Fondatrice della Congregazione delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, nata a Montalto Uffugo (Cosenza) il 10 aprile 1895 e morta a Roma il 19 giugno 1961; la spagnola Caterina Irigoyen Echegaray (suor Maria dello Sposalizio), della Congregazione delle Serve di Maria Ministre degli Infermi; nata a Pamplona il 25 novembre 1848 e morta a Madrid il 10 ottobre 1918; suor Enrica Alfieri (al secolo: Maria Angela), della Congregazione delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, nata a Borgo Vercelli il 23 febbraio 1891 e morta a Milano il 23 novembre 1951.Il Papa ha poi autorizzato la promulgazione di due decreti riguardanti il martirio del religioso transalpino vittima della Rivoluzione francese Pietro-Adriano Toulorge, sacerdote premonstratense, nato a La Quièze il 4 maggio 1757 e ucciso, in odio alla fede, a Coutances il 13 ottobre 1793, e quello di 23 spagnoli vittime della guerra civile: padre Francesco Stefano Lacal e 21 altri oblati, nonché il laico Candido Castán San José, tutti uccisi in odio alla fede, in Spagna nel 1936.Benedetto XVI ha infine autorizzato la promulgazione di sei decreti riguardanti altrettanti servi di Dio, che diventano così venerabili (e potranno essere proclamati quando eventualmente sarà riconosciuto un miracolo attribuito alla loro intercessione). Tre sono religiose italiane. E cioè: Maria Chiara di Santa Teresa di Gesù Bambino (al secolo: Vincenza Damato), Monaca dell’Ordine di Santa Chiara di Assisi; nata a Barletta l’11 novembre 1909 e morta a Bari il 9 marzo 1948; Dolores Inglese (al secolo: Libera Italia, Maria), della Congregazione delle Serve di Maria Riparatrici; nata a Rovigo il 16 dicembre 1866 ed ivi morta il 29 dicembre 1928; Irene Stefani (al secolo: Aurelia), dell’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata; nata ad Anfo (Brescia) il 22 agosto 1891 e morta a Gikondi in Kenya il 31 ottobre 1930. Gli altri tre decreti sulle virtù eroiche riguardano infine: l’indiano Tommaso Kurialacherry, primo vescovo di Changanacherry e fondatore delle Suore dell’Adorazione del Santissimo Sacramento, nato a Champakulam il 14 gennaio 1873 e morto a Roma il 2 giugno 1925; il canadese Adolfo Châtillon (in religione: Teofanio Leone), religioso dei Fratelli delle Scuole cristiane, nato a Nicolet il 31 ottobre 1871 e morto a Laval-des-Rapides il 28 aprile 1929; il laico tedesco Bernardo Lehner, laico; nato a Herrngiersdorf il 4 gennaio 1930 e morto a Ratisbona il 24 gennaio 1944.
ENRICHETTA ALFIERI - Un angelo a San Vittore tra reclusi e perseguitatiÈ conosciuta come l’«angelo di San Vittore» per il servizio svolto per tanti anni nel grande carcere milanese. È l’accompagnamento ai detenuti anche in frangenti molto difficili l’ambito in cui suor Enrichetta Alfieri ha vissuto in maniera eroica le virtù cristiane al punto da essere trovata di degna del titolo di beata. Maria Angela Domenica Alfieri nasce a Borgo Vercelli nel 1891; a vent’anni entra nelle Suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret. Dopo un primo servizio in un asilo infantile a Vercelli – e aver superato prodigiosamente una grave malattia – nel 1923 viene inviata a far parte del gruppo di suore che assistono le detenute di San Vittore. E qui diventa presto un punto di riferimento per tutti. Anche negli anni bui dell’occupazione nazista, quando esercita il suo ministero di conforto accanto agli ebrei arrestati e ai prigionieri politici. Durante la fase diocesana del processo di beatificazione anche un non credente come Indro Montanelli – finito a San Vittore nel 1944 per la sua attività antifascista – ha testimoniato sull’eccezionalità della testimonianza cristiana di suor Enrichetta, definendola «l’epicentro di ogni speranza» di quei giorni difficili. La religiosa non si limitava a confortare: rischiò in prima persona per evitare ad altri la deportazione. Un giorno venne scoperta col bigliettino di una donna ebrea che dal carcere scriveva ai parenti invitandoli a mettersi in salvo; così anche la suora finì dietro le sbarre. E scampò la fucilazione solo per l’intervento del cardinale Schuster, arcivescovo di Milano, che scrisse personalmente a Mussolini per invocare clemenza. Allontanata dal carcere vi ritornò subito, a guerra finita, rimanendovi fino al 1951, l’anno della morte. (
Giorgio Bernardelli)CLEMENTE VISMARA Fra orfani e tribali 65 anni in BirmaniaBen 65 anni trascorsi nella Birmania orientale, al servizio delle tribù dei monti, le più povere di questo tormentato Paese asiatico. Ecco la vita di padre Clemente Vismara, missionario del Pime nato nel 1897 ad Agrate, in Brianza e morto nella missione di Mongping nel 1988. In Birmania era arrivato nel 1923, quand’era ancora colonia britannica; poi verranno l’occupazione giapponese, l’indipendenza, l’avvento del regime comunista, la chiusura delle frontiere all’arrivo di nuovi missionari stranieri, il cambio del nome del Paese che oggi si chiama Myanmar. Padre Clemente ha vissuto tutte queste stagioni nella fedeltà alla gente dei suoi villaggi sperduti sui monti. Quando arrivò nel 1923 il Pime era in Birmania solo da undici anni e quello che aprì padre Vismara era un vero e proprio avamposto. In un territorio poverissimo, dove i missionari morivano di stenti, egli fu tutto per queste persone. In particolare si spese per gli orfani: lui stesso, del resto, capiva per esperienza diretta il loro dramma, avendo perso i genitori in tenerissima età. Quando nel 1983 festeggiò i 60 anni di sacerdozio la Chiesa cattolica del Myanmar gli dedicò la copertina del suo calendario definendolo «il patriarca della Chiesa di Birmania». Vismara è testimone di un’era in cui partire per la missione era lasciare davvero tutto dietro le spalle: in 65 anni poté tornare ad Agrate una sola volta nel 1957. E in Birmania è avvenuto il miracolo in forza del quale avviene la beatificazione: la guarigione prodigiosa di un bimbo di 10 anni caduto da un albero e risvegliatosi dal coma per sua intercessione. Un altro gesto di attenzione verso i piccoli amici delle tribù dei monti. (
G.Ber.)
SERAFINO MORAZZONE Fu citato da Manzoni nel «Fermo e Lucia»Il cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano a metà del Novecento, lo definiva «il nostro curato d’Ars». Fu proprio lui ad avviare la causa di beatificazione di Serafino Morazzone, il parroco di Chiuso, un sobborgo di Lecco, vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Era nato nel 1747 a Milano, nel quartiere di via Broletto, da una famiglia molto povera: proprio per queste umili condizioni per lui non fu affatto facile l’accesso al Seminario. E prima ancora dell’ordinazione fu consigliato dai superiori a partecipare al concorso per la parrocchia di Chiuso, allora una delle più umili con appena 185 fedeli, proprio per garantirsi un sostentamento. Serafino Morazzone svolse qui il suo ministero di parroco per ben 49 anni, in uno stile di grande preghiera, carità e servizio agli altri. Si racconta che si sia privato persino del suo materasso per darlo a un uomo malato e sofferente. In canonica, poi, aprì una scuola gratuita per i bambini dei paesi vicini. Morì nel 1822. Lo stesso Alessandro Manzoni lo conobbe e – con un anacronismo rispetto all’ambientazione seicentesca – lo citò come «il buon curato di Chiuso» nelle pagine di Fermo e Lucia, la prima versione de «I Promessi Sposi». «Era pio in tutti i suoi pensieri – scriveva Manzoni del Morazzone –, in tutte le sue parole, in tutte le sue opere: l’amore fervente di Dio e degli uomini era il suo sentimento abituale; la sua cura continua di fare il suo dovere e la sua idea del dovere era tutto il bene possibile». (
G.Ber.)
ELENA AIELLO La Calabria orizzonte della sua carità quotidiana.Una religiosa la cui vita è diventata parabola della Passione di Gesù. Si può riassumere così la storia di Elena Aiello, beata dell’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, cui appartiene anche il postulatore don Enzo Gabrieli. Nacque a Montalto Uffugo nel 1895 e fin da piccolissima mostrò un’attenzione particolare per il messaggio evangelico. Rimasta orfana di madre si diede da fare per aiutare la famiglia, ma la sua chiamata sembrava essere quella alla vita religiosa nelle Suore del Preziosissimo Sangue. Entratavi come novizia, però, si ammalò gravemente tanto che la congregazione non la ritenne più idonea e la rimandò a casa pensandola prossima alla morte. Invece Elena ebbe un’apparizione di Gesù: le disse che sarebbe stata risanata, ma il Venerdì Santo di ogni anno avrebbe portato sul suo corpo i segni della Passione. E così avvenne: per il resto della vita nel giorno della morte di Gesù avrebbe sudato sangue e sperimentato le stigmate; segni che poi puntualmente scomparivano ogni Sabato Santo. Questa esperienza la spinse a dare vita a Cosenza a una nuova congregazione religiosa, l’Istituto delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Nelle regole indicò la Passione di Gesù come riferimento spirituale e la carità testimoniata nella sua terra da san Francesco da Paola come orizzonte quotidiano. Aprì alcuni istituti per gli orfani, ma anche un istituto magistrale per garantire un futuro alle ragazze uscite dall’orfanotrofio. Morì nel 1961 a Roma dove si era recata per aprire una nuova casa. (
G.Ber.)