Al centro della Sardegna c’è un altro Sulcis, ma questa volta non ci sono 400 milioni per salvarlo. Qui lo Stato ha già dato. Cinquecento milioni – qualcuno dice due miliardi – nell’illusione che potesse decollare un polo chimico lontano dai porti e malservito dalla ferrovia. Da quattromila occupati si è scesi a seicento. Che ora sono a rischio. «Quando, domani, il Papa verrà in Sardegna per ascoltare la sofferenza del mondo del lavoro – avverte il nuorese Ignazio Ganga, segretario regionale Cisl – sappia che la crisi non è finita e che la Barbagia è appesa ad un filo». Un filo elettrico: la centrale a olio combustibile, cuore del polo industriale, rischia di perdere il regime di "essenzialità" in base al quale l’elettricità prodotta nel Nuorese viene pagata più del valore di mercato. Il regime speciale "pesa" il 30% sul fatturato di Ottana Energia. Terna ha già cercato di scrollarsi di dosso l’impianto, che in termini di Megawatt vale un decimo dei colossi di Fiume Santo (E.On) e Sulcis (Enel); la proroga scadrà nel 2014, forse nel 2015, e per allora la centrale dovrà essere convertita a carbone. È la condizione posta dal governo per "convincere" Terna. «Il Mise ha evidenziato alla Società che ritiene prioritario venga attuata la riconversione a carbone entro l’anno 2014 e che, data l’assenza di sostanziali modifiche sull’assetto della rete elettrica sarda, potrebbe proseguire l’attuale regime di funzionamento per il prossimo anno...» (Ministero dello Sviluppo economico, 6 settembre 2013). Questa è anche la condizione per far tornare i conti, sostiene il proprietario, Paolo Clivati, e continuare a lavorare su un’isola dove i
malloreddus e i
culurgiones si cucinano ancora con la bombola, perché del gasdotto algerino che avrebbe dovuto portare il metano, non c’è traccia. Il nodo energetico soffoca la Sardegna quanto l’insufficienza di collegamenti. Materie prime e carburanti arrivano a Ottana su gomma e su gomma riparte il prodotto finito. Chi non chiude (l’ultima è la Lorica) delocalizza: «Di 36 aziende del contratto d’area ne sono rimaste 11» ammette Roberto Bornioli, presidente di Confindustria per la Sardegna Centrale, il quale non si dà per vinto, ricorda che si producono pur sempre 400 milioni di fatturato e si schiera per il carbone, in quanto, dice, «non ci sono alternative e l’impianto di Ottana è più piccolo di quelli del Sulcis e di Porto Torres, dove nessuno solleva obiezioni». La sua spina nel fianco è la Coldiretti. Il presidente Simone Cualbu ha lavorato nel polo industriale di Ottana, prima di dedicarsi all’allevamento delle pecore a Macomer. Condanna la «decisione calata dall’alto» che, come spiega il direttore Aldo Manunta, «serve solo a tenere in vita comparti decotti, a compromettere la salute dei cittadini e a minacciare le eccellenze agroalimentari». A riprova, citano la nube di nerofumo che a metà aprile ha avvolto un allevamento ovino a due chilometri dalla centrale, condannando la produzione di fieno e di latte. Bornioli tende la mano – «dobbiamo dialogare di più con la Coldiretti» – ma il confronto è ormai tra due modelli di sviluppo: la Sardegna di Campagna Amica e il sogno industriale che, sottolinea Ganga, «ha modernizzato l’isola». In effetti, era l’obiettivo con cui la commissione Medici, nel 1972, promosse la rivoluzione di Ottana: mettere la tuta blu ai barbaricini doveva servire a combattere il banditismo. Ci si riuscì, ma a che prezzo: la Corte dei Conti attesta che 8 finanziamenti su 10 sono andati ad attività industriali "inesistenti". Ganga però insiste. «Non si può tornare indietro e comunque se dopo quarant’anni qui non rimane solo del ferro arruginito è grazie alle grandi battaglie del sindacato nuorese che hanno sempre aperto i portoni dei palazzi del potere. Quelle lotte operaie hanno salvato la rivoluzione industriale nella media valle del Tirso, un sogno produttivo che non ridarà i 2.500 posti di lavoro del passato, ma che continua ad esprimere, nonostante la crisi, un potenziale economico di tutto rispetto». Bornioli fa quattro conti: l’industria produce ancora il 18% del Pil regionale, l’agricoltura si ferma al 4. «Non si creino alternative che non esistono». Non sorprende che il presidente di Confindustria difenda a spada tratta il progetto di Clivati e neppure che il sindacato, al di là di una difesa di facciata della metanizzazione prossima (semmai) ventura, ne faccia il proprio Piave. Anche per merito di Clivati, che ha salvato Ottana due volte (quando ha comprato la centrale nel 2005 e quando, nel 2010, ha rilevato l’ex Equipolymers con Indorama) le relazioni sindacali di Ottana imbarazzerebbero persino Marchionne: i comunicati contro la "crociata della Coldiretti" escono a firma congiunta Confindustria, Cgil, Cisl e Uil. Anche per Luca Saba, direttore regionale della Coldiretti «è il momento di scegliere, se cioè la Sardegna voglia essere agricola, industriale o turistica. Non si può avere sia il carbone che l’eccellenza agroalimentare e non possiamo restare fermi: il valore aggiunto dell’agricoltura lombarda è già tre volte il nostro». La classe politica locale è considerata inadeguata; diversamente dal passato, lo si dice. «Quando eravamo obiettivo 1 ci siamo accontentati di erogare quel che arrivava dall’Europa, senza controllare se i progetti stavano in piedi. Sono state create 700 imprese giovani, ne sono rimaste 50» afferma Paola Appeddu, direttore della Cdo, che sta mettendo in rete aziende agroalimentari che edili per portarle sui mercati internazionali. Sardegna vs Sardegna e le analisi collidono proprio quando collimano. Il sindacato difende il carbone – ma quello del Sulcis è inadatto agli impianti – perché solo un sardo su due ha un lavoro e il 29% del valore aggiunto è ancora generato dal pubblico e per la stessa ragione la Coldiretti lo combatte: danneggerebbe, dice, 2.500 imprese agricole della media valle del Tirso e quindi tremila addetti... Don Pietro Borrotzu, responsabile regionale della pastorale del lavoro, rifiuta questo duello. Ha animato cortei e manifestazioni contro la chiusura degli stabilimenti eppure non riesce a credere ad uno sviluppo del polo industriale ed è scettico anche sulla capacità del mondo rurale di riscattarsi. «Dobbiamo uscire dall’atteggiamento mentale del popolo succube e assistito – spiega – e farlo in fretta, dal momento che è già iniziato l’impoverimento e lo spopolamento delle zone interne». Questo spirito anima anche la carta di Zuri, per la lotta alla povertà, il lavoro e i diritti dei popoli che sarà consegnata a papa Francesco. Arriverà a Cagliari dentro la
bertula de sa vida, la bisaccia con cui i pastori attraversavano la Barbagia, quando bastava veramente poco per sopravvivere.