Ai vescovi italiani che fra il novembre 2006 e l’aprile 2007 avevano partecipato alla loro prima visita
ad limina del pontificato di Benedetto XVI, il Papa aveva spiegato di aver vissuto «un’esperienza di gioia oltre che un’occasione per conoscere meglio le diocesi e per condividere le soddisfazioni e le preoccupazioni che accompagnano la sollecitudine pastorale». E il percorso gli era servito per conoscere «la geografia "spirituale" della bella Italia».Nelle parole di Benedetto XVI è racchiuso il senso di questa tradizione che affonda le sue radici nei primi secoli della Chiesa e che è sintetizzata nella formula latina del linguaggio ecclesiale da cui prende il nome. Un’espressione che è in realtà la contrazione della locuzione più ampia
ad limina Apostolorum>, ossia «alle soglie degli Apostoli».Ed è sulle tombe di Pietro e Paolo che giungono ogni cinque anni i pastori di tutto il mondo. «Una manifestazione e insieme un mezzo di comunione fra i vescovi e la cattedra di Pietro», chiama le visite
ad limina l’esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II
Pastores gregis del 2003, che delinea la missione del vescovo. Già il Codice di diritto canonico stabilisce che ciascun pastore «è tenuto a presentare ogni cinque anni una relazione al Sommo Pontefice sullo stato della diocesi affidatagli» e, quando deve consegnarla, si reca «nell’Urbe per venerare le tombe dei beati Apostoli».Proprio la preghiera di fronte ai sepolcri di Pietro e Paolo, che «indica il riferimento all’unica fede di cui essi diedero testimonianza a Roma con il loro martirio», è il primo dei tre momenti attorno a cui si snodano le visite
ad limina. Certo, non si tratta di un appuntamento protocollare, ma di un vero e proprio pellegrinaggio nei luoghi santi della città.La seconda tappa è l’incontro con il Papa. Un colloquio personale fra il successore di Pietro e ogni vescovo che consente di sancire «l’unità nella diversità» e creare una sorta di ponte fra la Chiesa universale e le Chiese particolari. L’esortazione
Pastores gregis paragona questo scambio al «movimento per il quale il sangue parte dal cuore verso le estremità del corpo e da queste torna al cuore». Così il «vedere Pietro» che è al centro della visita e rimanda alla «garanzia ultima dell’integrità della tradizione trasmetta dagli Apostoli» diventa anche espressione di collegialità.Il terzo aspetto è l’incontro con i responsabili dei dicasteri della Curia Romana, che vengono informati «sui problemi concreti» delle diocesi in modo da «svolgere al meglio il loro servizio». Con la formazione delle Conferenze episcopali, le visite
ad limina si svolgono secondo una chiave territoriale. Accadrà anche per la Chiesa italiana che Benedetto XVI incontrerà nei prossimi mesi in base alle sedici regioni ecclesiastiche.Del resto questo istituto può essere considerato un segno tangibile della cattolicità della Chiesa. E nei pellegrinaggi «sulle soglie degli Apostoli» i pastori affidano nelle mani del Papa tutte le diocesi che, attraverso il loro ministero episcopale, sono unite al vescovo di Roma. Da qui il richiamo alle legittime varietà che nello stile della collaborazione vengono valorizzate nel legame con la Chiesa di Roma la quale, affermava sant’Ignazio d’Antiochia, presiede alla comunione universale della carità.