Un pranzo fra sette sacerdoti di Roma. Che per la loro storia e il loro impegno esprimono il cuore solidale della Capitale. A cui si è aggiunto un ospite a sorpresa: papa Francesco. Ha assunto il rango di evento l’appuntamento conviviale che l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, aveva voluto nel suo appartamento dopo la Messa Crismale dell’altro ieri. Un incontro fra confratelli che il presule è solito organizzare il Giovedì Santo fin dagli anni in cui era nunzio apostolico in Angola e a Cuba. «Quando Francesco gli ha chiesto che cosa avrebbe fatto quel giorno, l’arcivescovo Becciu ha spiegato dell’iniziativa – racconta il direttore della Caritas di Roma, monsignor Enrico Feroci, uno dei preti del pranzo "papale" –. Allora il Papa gli ha annunciato: "Verrei anche io"».
Detto, fatto. Francesco si è seduto al tavolo per un pasto semplice. Al suo fianco monsignor Angelo De Donatis, parroco di San Marco al Campidoglio e guida spirituale di tanti sacerdoti romani; don Marco Valenti, parroco di San Saturnino, proveniente da una famiglia contadina della Sabina; il salesiano don Maurizio Verlezza che ha alle spalle una conversione adulta; don Antonio Petrosino, anche lui salesiano, delegato regionale per la formazione professionale dei giovani; don Giuseppe Trappolini, il parroco di San Giacomo al Corso, nel centro di Roma, che ha difficoltà a camminare; e don Mario Pasquale, parroco di San Bernardino da Siena ed ex prete operaio. Con loro Feroci, Becciu e monsignor Alfred Xuereb.
«Non chiedetemi le portate – scherza il direttore della Caritas romana –. Come dice il Vangelo, è stato ben altro quello che ci ha nutrito. Il vero pane sono state le parole del Papa, i suoi sguardi, il clima di serenità che ha creato». Un po’ come se fosse un ritrovo fra amici. «Ecco – continua Feroci – è stato davvero un incontro di famiglia. Un abbraccio fra il vescovo e i suoi preti. E glielo abbiamo detto: "Santità, lei si presenta sempre come vescovo di Roma". Lui ci ha risposto: "È normale che sia così". Davvero Francesco si sente tutt’uno con noi sacerdoti e con la nostra gente».
Ciascuno ha raccontato la sua esperienza. «Quando gli ho parlato dei sacerdoti lavoratori – riferisce don Pasquale – mi sono sentito ascoltato e ho avuto la sensazione di essere capito. Non solo. Comprendi che il Papa ama la Chiesa e invita anche te ad amarla per la vita».
A monsignor Feroci il compito di toccare il tasto delle nuove povertà. «È bastato un accenno per notare che a Francesco si inumidivano gli occhi. Gli descrivevo le gravi difficoltà che si vivono a Roma e in Italia e dei disagi che tante famiglie sopportano. Il Papa era commosso. Segno che i suoi riferimenti agli ultimi nascono davvero dal suo cuore». E al parroco di San Giacomo al Corso il Pontefice ha affidato una missione. «Lo ha invitato a spalancare le porte della chiesa – riferisce Feroci –. Poi ci ha ricordato di lasciare una luce accesa sul confessionale. "Vedrete che si farà la fila". Una bella dritta per il nostro servizio».
Nella sala da pranzo un’atmosfera affabile. «Ci ha regalato persino qualche battuta», sottolinea il direttore della Caritas. E don Pasquale aggiunge: «Ha voluto valorizzare ciò che noi preti dicevamo. E tutto ciò è avvenuto narrandoci aneddoti della sua vita». Poi qualcuno gli ha riferito dell’impatto che le sue parole stanno avendo. «In particolare – afferma Feroci – il richiamo alla misericordia è stato come un sussulto a riscoprire il perdono di Dio».
Alzati da tavola, un altro gesto inatteso. «Ci ha abbracciati a uno a uno come un padre che saluta un figlio che non vede da anni», sostiene don Pasquale. «E a ciascuno ha dato un consiglio – conclude il direttore della Caritas –: a chi di mettersi sul sagrato, a chi di avere una particolare attenzione ai giovani, chi di farsi prossimo con i poveri. E a tutti ha chiesto di andare incontro alla gente dove è presente il volto di Cristo».