La Conferenza episcopale italiana - rispondendo a quanto denunciato dal Papa, e che cioè “ci sono più cristiani perseguitati oggi che nei primi secoli” - promuove per il 15 agosto, nella solennità dell’Assunzione, una Giornata di preghiera per i cristiani vittime di persecuzione. Tutte le comunità ecclesiali – riferisce una nota della presidenza Cei - sono invitate ad “unirsi in preghiera quale segno concreto di partecipazione con quanti sono provati dalla dura repressione”. “Noi non possiamo tacere” – affermano i vescovi italiani – “in particolare di fronte ad una “nostra Europa, distratta e indifferente, cieca e muta davanti alle persecuzioni di cui oggi sono vittime centinaia di migliaia di cristiani”. Il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, spiega l’iniziativa al microfono di Marco Guerra di Radio Vaticana: "Il bisogno nasce dalla situazione drammatica che stanno vivendo i cristiani, non solo, ma anche la minoranza yazidi, in Iraq soprattutto, ma non solo in Iraq: anche in Siria, in Nigeria e altrove. Quindi, l’esigenza è nata dalla storia, purtroppo, e come vescovi eravamo già intervenuti. Ma questa volta si è ritenuto opportuno risvegliare un po’ tutti quanti in maniera molto più chiara, molto più decisa su questo tema. Il senso nasce dalla necessità di non dovere e non potere lasciare soli questi nostri fratelli a soffrire, a sopportare tutto quello che stanno sopportando".
L’adesione delle diocesi è stata immediata:
quindi, venerdì tutti i parroci inviteranno a pregare per i cristiani
perseguitati?
Sì: la risposta delle diocesi – ma non solo:
anche dei Movimenti, delle Associazioni e dei Gruppi – è stata davvero una
risposta pronta, corale, anche entusiasta, nel senso – cioè – che sentiamo il
bisogno noi, anche, di orientarci insieme e di rispondere insieme, a pregare
insieme per certe situazioni. Per cui, io penso che sarà veramente un momento
molto importante: l’importante, poi, è anche questo: che davvero la nostra sia
una preghiera che ci coinvolga, che coinvolga un po’ tutti anche nell’impegno
concreto.
C’è una presa di coscienza da parte dei cattolici
italiani, nella drammatica situazione in cui versano i loro fratelli iracheni?
Si percepisce quali siano i drammi di questi cristiani?
Ma sì. Intanto, mi meraviglia come purtroppo la
nostra televisione di Stato, ma anche altre televisioni, si siano svegliate un
po’ tardi rispetto a questi argomenti. Grazie a Dio, “Avvenire” e da questo
punto di vista anche i nostri media, non stanno smettendo di sensibilizzare in
questa direzione. Parlando qualche giorno fa con padre Samir, che è il parroco
della parrocchia che sta accogliendo migliaia di cristiani profughi proprio in
Iraq, lui mi diceva: “In questo momento, più che bisogno di cibo, di coperte, in
questo momento stiamo riuscendo a far fronte a queste realtà materiali. Il
problema serio – diceva lui: aiutateci con i media, aiutateci a creare
consapevolezza, aiutateci a far sapere in che situazione siamo noi, che non si
tratta di un fatto episodico, non è un fatto che tocca pochissime persone…
Questa malvagità, questa violenza è supportata purtroppo da una volontà decisa,
da parte dell’Isis, di formare veramente questo califfato”.
In questi casi, l’indignazione della società
civile dovrebbe essere assoluta …
Ha detto bene: dovrebbe essere assoluta, l’indignazione. Di fatto,
ho l’impressione che qualche volta l’informazione arrivi in ritardo. Ci facciamo
prendere anche un po’ tutti dalla paura di dovere intervenire su certe realtà.
Ho l’impressione che nell’Europa che è sempre pronta a dispensare
raccomandazioni, anche sulle forme delle banane che devono essere immesse sul
mercato, di fronte a queste realtà propone soluzioni che veramente mostrano la
loro marginalità. Mi sembra molto importante l’apprezzamento che il Patriarca
Sako e i vescovi dell’Iraq stanno manifestando nei confronti dei cristiani
dell’Occidente, in particolare della Chiesa cattolica europea, che si sta
muovendo tantissimo, anche nei confronti della campagna di AsiaNews “Adotta un
cristiano di Mosul perché aiuti i cristiani a rimanere in Iraq”.
In generale, la Chiesa si sta muovendo: la Chiesa
italiana ha dato disponibilità ad accogliere i perseguitati che lasciano l’Iraq.
Ecco: le famiglie e le singole persone, come possono aiutare i cristiani
iracheni perseguitati?
Le soluzioni a questo dramma non sono uguali
dappertutto: cioè, da alcune parti ci viene chiesto veramente aiuto materiale,
da alcune parti ci viene chiesto di identificare dove sono i campi profughi e
quindi intervenire con gli operatori che sono nel campo; da altre parti, come
padre Samir della parrocchia di San Giuseppe stava dicendo, “aiutateci a rendere
consapevoli tutti attraverso l’informazione di quello che sta succedendo”.
Quindi, il “che fare” si sta disponendo su livelli diversi. Innanzitutto, dico:
non smettiamo di dare notizia, non smettiamo di far sapere cosa sta succedendo,
non smettiamo di far capire che questa furia omicida e di persecuzione non si
sta fermando e non ha nessunissima intenzione di fermarsi. Incominciamo a fare,
in maniera martellante, questo tipo di informazione: partiamo con il 15 agosto
in modo tale che ci sia una ancora maggiore consapevolezza. Noi sul campo già ci
stiamo: la Cei ha già destinato dei fondi, per cui il problema immediato, in
questo momento, è veramente fermare questa furia omicida, far sì che ci sia
davvero una attenzione di tutto il mondo, e non solo – tra l’altro –
dell’Occidente, nei confronti di questa tragedia.
La preghiera universale della Messa per la festa
dell’Assunta avrà una menzione particolare per i cristiani
perseguitati?
Sì, la Conferenza episcopale italiana ha
pubblicato sul suo stesso sito – www.chiesacattolica.it – ma anche su
“Avvenire”, testi che accompagnano – non sono solo di sensibilizzazione – anche
i momenti di preghiera.
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