Un invito, forte, a «recepire le sfide del mondo contemporaneo e a superare le facili tentazioni che minano la nuova evangelizzazione». A partire dal «ricuperare la propria identità» di cristiani «senza avere complessi di inferiorità, che portano poi ad occultare la propria identità e le convinzioni, che finiscono per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri, e per avere quello che gli altri possiedono».Ed è proprio questa
gioia della missione – gioia quotidiana che viene dal credere in Gesù Cristo, capace di dare prospettiva e senso al vivere – la parola chiave della Esortazione apostolica
Evangelii gaudium, firmata il 24 novembre, alla chiusura dell’Anno della fede, da papa Francesco e presentata ieri in Sala Stampa vaticana dagli arcivescovi Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, e Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali. Un documento "pesante" non solo per la sua corposità – oltre duecentoventi pagine nella versione distribuita alla stampa mondiale in sede di presentazione – ma soprattutto per l’ampiezza di respiro e la metodica precisione con cui Francesco delinea gli ambiti di un’azione pastorale lontana da ogni timidezza. Un testo in cui, come ha osservato Fisichella, «a più riprese papa Francesco fa riferimento alle
Propositiones del Sinodo dell’ottobre 2012 (sul tema della nuova evangelizzazione,
ndr) mostrando quanto il contributo sinodale sia stato un punto di riferimento importante per la redazione di questa Esortazione», ma che allo stesso tempo «comunque va oltre l’esperienza del Sinodo». Infatti, ha sottolineato il presule, «il Papa imprime in queste pagine non solo la sua esperienza pastorale precedente, ma soprattutto il suo richiamo a cogliere il momento di grazia che la Chiesa sta vivendo per intraprendere con fede, convinzione, ed entusiasmo la nuova tappa del cammino di evangelizzazione». Tutto questo mettendo chiaramente in guardia da «un relativismo ancora più pericoloso di quello dottrinale, perché intacca direttamente lo stile di vita dei credenti», a causa del quale «in molte espressioni della nostra pastorale le iniziative risentono di pesantezza perché al primo posto viene messa l’iniziativa e non la persona».Nell’Esortazione apostolica così, secondo Fisichella, Bergoglio mostra «l’urgenza» con la quale intende agire «per portare a termine alcune prospettive del Vaticano II: per esempio «circa l’esercizio del Primato del successore di Pietro», in continuità con i suoi predecessori – Giovanni Paolo II, che nella
Ut unum sint affermò la disponibilità a ripensare in chiave ecumenica l’esercizio del primato petrino, e Benedetto XVI, che a quella disponibilità diede corso nel dialogo teologico con l’ortodossia; come pure sul ruolo delle Conferenze episcopale, delle quali il Pontefice invita a «sviluppare ulteriormente lo Statuto».Circa la prima di queste sottolineature, in risposta alle domande dei giornalisti, Fisichella ha messo in evidenza che la «conversione del papato» va intesa «alla stessa stregua» della «conversione pastorale»: il Papa, cioè, «si pone come primo esempio di quella conversione pastorale che chiede ai fedeli». In altre parole «il Papa sente l’esigenza di dire: sono in mezzo al popolo di Dio, sono il primo a voler illustrare come si debba dare una testimonianza pastorale», che «non si manifesta solo nella scelta di non vivere nel palazzo, ma anche nella vita quotidiana, nella naturalezza con cui il Papa vive in mezzo agli altri».Quanto al ruolo delle Conferenze episcopali, Baldisseri ha invitato a rilevare come sia «la prima volta che un Papa cita i documenti delle Conferenze episcopali», in una Esortazione apostolica. Con ciò Francesco vuole mostrare che «il magistero ordinario – ha affermato – non è soltanto quello del Papa, ma anche il magistero ordinario di tutti i vescovi del mondo», che in questo modo «partecipano al governo, al magistero del Papa». Già nel decennio precedente al 1998, quando Giovanni Paolo II ha scritto l’
Apostolos suos, ha fatto poi notare Fisichella, «c’è stata una lunga discussione nella Chiesa sul ruolo delle Conferenze episcopali»; col documento di oggi «papa Francesco chiede che esse prendano visione del proprio statuto, per riflettere su quale identità vogliono sviluppare di più, all’interno dei vari Paesi, nell’ordine della nuova evangelizzazione e della sinodalità». È su questo piano che va operata la «decentralizzazione» a cui fa riferimento il Papa, un «ripensamento» del proprio ruolo che in futuro può portare le singole Conferenze episcopali ad assumere «ruoli anche dottrinali».Sul linguaggio «sereno, cordiale, diretto, in sintonia con lo stile manifestato in questi mesi di pontificato» con cui è scritta l’Esortazione s’è infine soffermato Celli, che ha poi citato in particolare un brano del testo, con il quale, ha detto, «papa Francesco dà senso alla nostra attività comunicativa nella Chiesa: "Bisogna avere il coraggio di trovare nuovi segni, nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali"».