La cosa peggiore che possa capitare a un uomo è non avere una casa. Un luogo dove sentirsi accolto, valorizzato, amato. Per questo, quando ha pensato a un acronimo per l’impresa che voleva avviare, ci ha messo anche l’acca. Si chiama
Los Angeles Habilitation House (Lahh) l’azienda non profit fondata da Guido Piccarolo, un quarantenne italiano che ha avuto il coraggio di lasciare un posto sicuro e ben retribuito alla Disney Company per lanciarsi in un’avventura che ha cambiato la sua vita e quella di tante persone che in questi anni sono state accolte nella Lahh.
Dopo la laurea in economia e commercio all’Università Cattolica di Milano, Piccarolo emigra negli Stati Uniti dove ottiene un brillante impiego come analista finanziario alla Walt Disney di Los Angeles. Si interessa al mondo delle social enterprises, che sviluppano business con scopi filantropici (una realtà molto diffusa nella società americana). Durante la visita a un’impresa che impiegava disabili a Portland, nell’Oregon, rimane folgorato da ciò che vede. «Me lo ricordo come fosse oggi: mentre passavo nelle linee di produzione, molti di loro si alzavano e mi abbracciavano, raccontando dell’orgoglio di poter lavorare e della gratitudine per avere trovato qualcuno che gli aveva dato una mano, che aveva guardato con amore la loro umanità. Chiedo a John, il presidente dell’azienda: come faccio ad avviare una cosa del genere a Los Angeles? Risposta semplice e diretta, molto americana: “Scrivi un business plan necessario per presentare allo Stato di California la richiesta per essere riconosciuto come impresa non profit che lavora con giovani disabili. Non preoccuparti di stabilire programmi particolari, piuttosto cerca almeno una persona con cui condividere l’ideale che hai”». Detto fatto: Piccarolo ne parla con Nancy, una collega della Disney, insieme scrivono il business plan e insieme si licenziano tra lo stupore dei loro capi e dei compagni di lavoro: «Ma come, ve ne andate da un posto sicuro e ben pagato proprio adesso che in America c’è una crisi nera?».
Nella primavera del 2008 nasce Los Angeles Habilitation House, con lo scopo di creare lavoro per giovani con disabilità fisiche e mentali. «A fare le spese della crisi erano soprattutto i più deboli. Anche adesso è così: in California su 546mila disabili che cercano lavoro, solo il 3 per cento lo trova. A questa realtà, negli ultimi anni si è aggiunta la piaga dei reduci dalle guerre in Iraq e Afghanistan: su due milioni di militari impegnati al fronte, un terzo al ritorno in patria presenta sintomi di post traumatic stress disorder (Ptsd), un disturbo che sfocia in depressioni acute e spesso impedisce di trovare o mantenere il posto di lavoro. Uomini di 25-30 anni rientrano dal fronte dopo avere dato un pezzo della loro gioventù per la patria e trovano un Paese dove ognuno cerca di salvarsi dalla crisi e dove loro vengono guardati come un “ulteriore problema” da gestire». Succede così a Jamal, che nel 2009 racconta la sua storia in una lettera pubblicata sul
Los Angeles Times. È un marine, tra i primi a soccorrere le vittime dell’attentato alle Torri Gemelle, tra i primi anche a partire per il fronte iracheno. Ma quando torna dalla guerra non trova lavoro, non ce la fa neppure a pagare le bollette, nella mente s’insinua la tentazione del suicidio: «Ogni mattina quando mi alzo – scrive – ho bisogno di trovare una ragione per non uccidermi». «Leggere quelle parole è stato come ricevere un pugno nello stomaco – confessa Piccarolo –. Io che ogni mattina mi alzo dal letto con un grande desiderio di vivere, non potevo restare indifferente davanti a uno che sperimenta l’opposto. Era il grido disperato di un uomo che cercava lavoro, ma anzitutto implorava l’abbraccio di un altro uomo, una speranza per vivere. La stessa speranza che fa vivere me. Per questo, insieme a Nancy, siamo entrati in contatto con i centri statali per il reintegro dei veterani e abbiamo cominciato ad aiutare quelli come Jamal, proponendo periodi di training in vista dell’assunzione, per svolgere lavori di pulizia o di tipo amministrativo».Li chiamano
wounded warriors, sono uomini che portano dentro le ferite invisibili provocate dalla guerra, che non sono più capaci neppure di fare cose apparentemente semplici, si isolano e vengono isolati, rimangono senza casa, soli, sulla strada. E molti decidono di farla finita. Tra loro il tasso di disoccupazione è superiore del 50% rispetto alla media, e le statistiche avvertono che ogni giorno 18 reduci dal conflitto iracheno si tolgono la vita. «Hanno bisogno di qualcuno che li rilanci nell’esistenza, che gli dica “tu vali, tu non sei determinato dalla tua difficoltà, il tuo limite può essere abbracciato da qualcuno che ti vuole bene”. E io capisco che soltanto l’abbraccio di Gesù, che io ho sperimentato sulla mia pelle, può sollevare queste persone dalla trascuratezza e dall’abbandono in cui sono precipitati. Un abbraccio che a Natale diventa più evidente, ma di cui abbiamo bisogno tutti i giorni. Ho fatto l’analista finanziario per 15 anni, non ho studiato psicologia, non sono neppure un esperto nell’integrazione lavorativa dei malati mentali. Semplicemente, accompagno queste persone nel loro percorso: insegno a fare le pulizie, ma insegnare un mestiere significa anzitutto guardare tutta la loro umanità, prendere sul serio i loro bisogni, quel desiderio di felicità che tutti portiamo nel cuore. E aiutarli a riscoprire la loro dignità di persone, a riscoprire che c’è Qualcuno che gli vuole bene. In questo percorso umano molti intuiscono che quell’esigenza di giustizia che li aveva mossi quando sono partiti per il fronte, quell’amore per la patria e per la libertà che sta nel Dna degli americani e che anche loro hanno ereditato, può trovare risposta solo in Qualcosa di più grande della loro capacità. Il sogno americano, che tanto fascino continua a esercitare e che gli attentati alle Twin Towers non sono riusciti a cancellare, può trovare compimento soltanto dentro una prospettiva più grande della potenza militare ed economica. I nostri wounded warriors l’hanno capito come l’ho capito io, perché insieme ne abbiamo fatto esperienza. E allora anche la disabilità non è più un limite, ma diventa la porta stretta attraverso la quale passare per nascere a una nuova vita. Per diventare uomini veri».