giovedì 26 novembre 2015
Dal 2013 la Repubblica Centrafricana (Rca), dove vivono 4,6 milioni di abitanti, è sconvolto dal conflitto più sanguinoso della sua storia. Papa Francesco ha fatto una battuta mercoledì sul volo Roma-Nairobi, dicendo: "Se non volete portarmi, datemi un paracadute".
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Dal 2013 la Repubblica Centrafricana (Rca), uno stato senza sbocchi sul mare con una popolazione di 4,6 milioni di abitanti, è sconvolto dal conflitto più sanguinoso della sua storia. Più di 5mila persone sono morte e più di 1 milione sono invece quelle rifugiate oltre confine o sfollate all’interno del paese. ​Su 4,6 milioni di abitanti ci sono circa 1,7 milioni di cattolici (il 37% della popolazione): 119 parrocchie in tutto il Paese e 350 sono i sacerdoti. Circa 300 sono le scuole legate a istituti religiosi cattolici e poco meno di 60mila gli studenti che le frequentano. 13 sono gli ospedali a cui si aggiungono 39 ambulatori e 10 lebbrosari.

Secondo gli indici di sviluppo umano dell’Onu, più della metà dei centrafricani vive al di sotto della soglia di povertà (1,25 dollari al giorno) e la speranza di vita è tra le più deboli in Africa subsahariana (48,4 contro una media di 51 anni). Il 20% della popolazione è sfollato o rifugiato nei paesi vicini. Stando ai dati di Medici senza frontiere, la situazione medico-umanitaria è quella di un’emergenza cronica e prolungata: 1,5 milioni di persone soffrono la fame, il tasso di prevalenza dell’HIV è il più elevato dell’Africa centrale, i bambini muoiono di malaria, il 72% delle strutture sanitarie pubbliche è danneggiato o distrutto.

Eppure stiamo parlando di un paese “ricco”. Con un sottosuolo gravido di oro, uranio e petrolio. Diamanti e legname sono le principali esportazioni (più del 70%). Ma questo potenziale è poco o per nulla sfruttato industrialmente. Rca è il classico esempio di stato africano dove la ricchezza di risorse naturali incentiva l’avidità dei governi e l’espansione dei traffici illeciti e non lo sviluppo.

 

LA VOCE DI SUOR ELVIRA TUTOLO

Il papa deve venire - ha affermato con forza suor Elvira Tutolo, missionaria della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, da 15 anni nella Repubblica Centrafricana, 25 in Africa in un'intervista rilasciata al sito Aleteia.org -. Se non lo facesse, provocherebbe una grandissima delusione e forse un aumento della tensione tra le parti, perché per i musulmani sarebbe facile dire ai cristiani che il loro leader li ha abbandonati. Da parte loro, non c’è alcuna ostilità verso papa Francesco verso il quale provano ammirazione”.

“Basterebbe anche solo che si fermasse in aeroporto - ha proseguito la missionaria -; da lì già si comprende tutta la situazione: c’è solo la pista libera, tutt’intorno ci sono le tende dei profughi". E da come ha risposto con una battuta sul volo Roma-Nairobi riguardo ai rischi di sicurezza, sembra che il Papa voglia proprio esserci: "Voglio andare in Centrafrica - ha affermato Francesco - se non volete portarmi, datemi un paracadute".

Campo di Mpoko, aeroporto internazionale di Bangui. Il campeggio è una costellazione anarchicae improvvisata di teli, pali, stuoie e ombrelloni logori. (Foto di Medici senza frontiere)
COM'È LA SITUAZIONE POLITICA DEL CENTRAFRICA?

(Nella foto Bambari, esterno della Cattedrale di San Giuseppe. Reuters)

Il Paese sta cercando di uscire da due anni di guerra civile. Berberati è stata il quartier generale da cui i Seleka – “alleanza” in sango, l’unione di formazioni ribelli all’allora presidente Francois Bozizé, accomunate dalla fede musulmana – hanno governato il Paese dopo la “rivoluzione” sfociata presto in saccheggi, stupri e uccisioni indiscriminate oltre alla persecuzione nei confronti della popolazione cristiana. Cristiani e animisti hanno reagito e dato origine alle milizie anti-balaka, un nome che è tutto un programma: i miliziani indossano degli amuleti di pelle di vacca nella convinzione che siano anti-proiettili di kalashnikov.

In realtà, come ha sottolineato l’arcivescovo di Bangui, monsignor Dieudonné Nzapalainga, protagonista del tentativo di riconciliazione insieme a musulmani e chiese evangeliche: «Questa non è una guerra di religione, ma una guerra politica, nata per mettere le mani sulle ricchezze del nostro Paese». Cioè uranio, diamanti e oro e dietro i Seleka e gli anti-balaka non mancherebbero gli interessi di altri Stati del mondo.

 

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