giovedì 13 marzo 2025
A causa della crisi climatica il volto della montagna sta cambiando. In difficoltà le infrastrutture legate allo sci: 265 gli impianti dismessi ad alta quota in Italia, il doppio rispetto a 5 anni fa
L’impianto della vergogna è la bidonvia di Pian dei Fiacconi, sul versante nord della Marmolada, la Regina delle Dolomiti. Chiuso nel 2019, è stato travolto nel dicembre 2020 da una valanga che ha coinvolto anche il vicino rifugio, luogo in cui il suo gestore, proprio nel 2020 assieme alle associazioni ambientaliste aveva lanciato una petizione volta a far rimuovere tutte le tracce dei vicini impianti in disuso. Ad oggi, però, in quota rimane una struttura abbandonata e sventrata, dal pesante impatto ambientale e paesaggistico in un’area montana che è patrimonio Unesco

L’impianto della vergogna è la bidonvia di Pian dei Fiacconi, sul versante nord della Marmolada, la Regina delle Dolomiti. Chiuso nel 2019, è stato travolto nel dicembre 2020 da una valanga che ha coinvolto anche il vicino rifugio, luogo in cui il suo gestore, proprio nel 2020 assieme alle associazioni ambientaliste aveva lanciato una petizione volta a far rimuovere tutte le tracce dei vicini impianti in disuso. Ad oggi, però, in quota rimane una struttura abbandonata e sventrata, dal pesante impatto ambientale e paesaggistico in un’area montana che è patrimonio Unesco - Legambiente

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Dalle Alpi agli Appennini nevica sempre meno. Il campanello d’allarme arriva dal numero degli impianti dismessi ad alta quota, ma anche dall’aumento dei bacini di innevamento artificiale per “fabbricare” la neve. 165 sono quelli mappati a oggi tramite le immagini satellitari per una superficie totale pari a 1.896.317 mq circa. Il Trentino-Alto Adige è la regione con più bacini censiti (60), seguita da Lombardia (23), e Piemonte (23). La Valle D’Aosta, invece, conta 14 bacini ma primeggia in termini di mq, ben 871.832.



La montagna per pochi
In aumento i costi per l’innevamento artificiale e quelli del turismo sempre più costoso e di lusso, a discapito dell'ambiente


Nella Penisola, inoltre, ci sono 265 strutture legate agli sci non più funzionanti, un dato raddoppiato rispetto al 2020 quando ne erano stati censiti 132. Piemonte (76), Lombardia (33), Abruzzo (31) e Veneto (30) sono le regioni a oggi con più strutture dismesse, espressione diretta di una crisi climatica che anche in montagna lascia sempre più il segno e va di pari passo con un turismo invernale che diventa più costoso e in alcuni casi di lusso, a discapito del portafoglio e dell’ambiente.
Da Cortina alle Cime di Lavaredo, per arrivare a Roccaraso, l’overtourism colpisce sia le Alpi sia gli Appennini. Le mete alpine, in particolare, stanno vivendo anche l’espansione del turismo del lusso come sta accadendo a Cortina. Sempre più riservata a un'élite di ricchi, Cortina sta diventando, secondo Legambiente, una «scuola di gentrificazione, dove ci si trova estranei nella propria terra». Come spiega il professore Alberto Lanzavecchia dell’Università di Padova, «le proprietà non vengono acquistate dagli italiani, ci sono investitori stranieri, oggi solo un terzo degli alberghi è gestito da famiglie di residenti. L’offerta turistica diventa più costosa ed espelle le famiglie italiane, che non possono godere più di quella valle».

A tracciare questo quadro di sintesi, con numeri e dati, è il nuovo dossier Nevediversa 2025 “Una nuova montagna è possibile?” prodotto da Legambiente, con il censimento aggiornato degli impianti legati agli sci tra chiusi, semichiusi e quelli che faticano a restare aperti e un focus sull'iperturismo.

È la crisi climatica a imporre un ripensamento del rapporto con la montagna, in quota e a valle. Per Legambiente servono in primis più azioni di mitigazione e adattamento e più finanziamenti per il turismo dolce, accompagnati da una migliore gestione del territorio replicando le buone pratiche.

Le previsioni per i prossimi anni indicano inverni significativamente più caldi rispetto a oggi, con un conseguente calo delle nevicate.

I dati della Fondazione CIMA illustrano chiaramente il grave deficit nevoso registrato al 13 febbraio 2025 rispetto alle medie storiche. Sulle Alpi nella fascia tra i 1000 e i 2000 metri, la riduzione dell’innevamento è del 71% e addirittura del 94% sugli Appennini. A quote più elevate, tra i 2000 ei 3000 metri, il deficit si attesta al 43% sulle Alpi e al 78% sugli Appennini. Dati che evidenziano le difficoltà a cui vanno incontro gli impianti sciistici che, a causa della crisi climatica, hanno prospettive di sviluppo sempre più incerte. Sul sito del Ministero del Turismo, dall’inizio del governo Meloni, sono stati pubblicati avvisi riguardanti l’assegnazione e l’erogazione di contributi pari a ben 430 milioni di euro, destinati a compensare le perdite subite dai comprensori sciistici. Inoltre, fino al 2028, il ministero continuerà a finanziare a fondo perduto le imprese che gestiscono impianti di risalita a fune.


Secondo Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, «la fusione dei ghiacciai da un lato, la diminuzione delle nevicate, ma anche la chiusura di diversi impianti insieme a quelli che faticano spesso a restare aperti, dall’altro, sono facce della stessa medaglia su cui va aperta una importante riflessione che deve essere accompagnata da interventi concreti. Si continua ad alimentare la pratica dell’innevamento artificiale, che comporta consistenti consumi di acqua e di energia, senza invece mettere in campo una chiara strategia di adattamento e mitigazione alla crisi climatica. È da qui che bisogna partire, se si vuole arrivare ad una migliore gestione del territorio».
Si calcola che negli ultimi anni, gli impianti di neve artificiale siano diventati una spesa costante per la sopravvivenza dei comprensori e per garantire la settimana bianca. A metà febbraio si è registrata una spesa di 2 milioni di euro per l’innevamento artificiale nelle aree montane del Bellunese dall’inizio della stagione. Nel caso del Sestriere, in Piemonte, in quattro anni la cifra spesa ha superato i 10 milioni di euro. Per innevare i 125 chilometri di piste del Friuli-Venezia Giulia, il costo stagionale si aggira intorno ai 5,3 milioni. Dall’altro lato salgono in Italia i costi della settimana bianca. Una famiglia di tre persone, stando alle ultime stime, quest’anno spenderà in media 186 euro al giorno solo per accedere agli impianti di risalita e alle piste. In aumento, secondo Federturismo, anche il costo di hotel (+5,1%), delle scuole di sci (+6,9%), i servizi di ristorazione (+8,1%). In sintesi, per una settimana bianca, un adulto spende in media 1.453 euro, mentre un nucleo familiare composto da due genitori e un figlio affronta una spesa di circa 3.720 euro.
«Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato - ha commentato Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente - e gennaio 2025 ha segnato un nuovo record come il mese più caldo di sempre. Bisogna ripensare il turismo invernale in una chiave più sostenibile e al tempo stesso avviare percorsi di governance tra le istituzioni, le comunità locali e le realtà territoriali replicando le buone pratiche di turismo dolce». Sull'esempio di Valle Maira, che ha saputo creare un modello di turismo lento basato sulle proprie specificità, dimostrano la possibilità di uno sviluppo alternativo e di successo o del modello delle cooperative di comunità sull'Appennino Tosco-Emiliano che pure rappresenta una possibile risposta alla crisi, promuovendo un turismo comunitario in linea con l'ambiente e il senso del limite tipico della cultura montanara.
In altre parole, va ripensato il modello di sviluppo turistico, passando da un'economia prevalentemente basata sullo sci di massa a un'offerta più diversificata, sostenibile e centrata sulla valorizzazione delle risorse locali e sul coinvolgimento delle comunità.

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