La ferita della nuova, drammatica crisi mediorientale ci riguarda e interpella nel profondo. In occasione della Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione promossa dalla Chiesa italiana per il 17 ottobre Avvenire vuole raccogliere e far risuonare tutte le #vocidipace: mandaci la tua a vocidipace@avvenire.it o sui nostri canali social.
La terra di Palestina è un intreccio di dolore e di offese. C’è la luce, ogni giorno il sole sorge anche là. E c’è il sangue di chi muore da una parte e dall’altra, da tre quarti di secolo. C’è la fede, surreale fede divisiva, impensabile fede in armi, nell’unico Dio, e c’è la violenza fanatica. Un nodo.
Sciogliere i nodi è un’arte. Ci vuole pazienza, è necessario avere abilità nei movimenti fini, bisogna soprattutto pensare che davvero vale la pena, credere nel futuro perché anche il tempo è parte di quest’arte. Si deve credere che vale la pena di fermarsi, di capire che cosa succede, di analizzare esattamente da dove passano i percorsi che strozzano i nodi, la vita, la speranza. Bisogna avere la pazienza di provare e riprovare. La tentazione è tagliare. Il nodo e insieme il dialogo.
Ad Augusta, in Baviera, nella chiesa di St. Peter am Perlach c’è un bel dipinto di Johann Georg Melchior Schmidtner che rappresenta Maria che scioglie i nodi.
Si sa che Papa Francesco lo ha amato. C’è tutto quello che serve. Lo sguardo largo sul cielo, un bel po’ di angeli in alto, a ispirare pensieri leggeri pieni di Spirito, un angelo che porge il nastro con i nodi, nodi di ogni tipo e forma, e l’altro che riceve dalle mani di lei, Maria, il nastro liscio liscio e stirato, diremmo oggi. Soprattutto c’è lei, la donna, Maria. Tutti hanno le mani e possono sciogliere i nodi ma nella realtà lo fanno le donne.
Mancano le donne in questo conflitto scoppiato nella terra di Gesù e dei Profeti. E in molti molti altri. Se ci fossero donne ai posti di responsabilità, loro saprebbero trovare un linguaggio, un’azione di leggerezza, un’attesa, le donne sono esperte, si sa, di attesa. Senza attesa non nasce niente, proprio niente.
Questa è una guerra di uomini che alzano muri, scrivono articoli nei giornali del mondo, governano la propaganda, spediscono armi e carri armati e lanciano proclami. Si arricchiscono in commerci innominabili.
Le donne sanno che il dolore delle madri che perdono i figli si somiglia, sanno entrare nel dolore dell’altra, sanno quanto è difficile, meraviglioso ma difficile e lungo, far crescere un bambino, sanno che la morte di un figlio soldato è sempre una bestemmia alla vita. Odiano la guerra, le donne. Niente di buono viene dalla guerra, niente. È un’arte femminile sciogliere i nodi. Per adesso è così, forse un giorno gli uomini potranno imparare. Soprattutto se si lasceranno affiancare da donne che governano, decidono con loro, pensano pensieri nuovi e soluzioni che siano diverse dalla vendetta.
Non nasce la pace, dalla vendetta. Serve un pensiero che sorprenda, traboccante di novità, una buona novella condivisa, ecumenica. Un gesto politico, diplomatico, che ci faccia dire: "Ecco, le cose sono nuove". Non abbiamo più paura. Di sicuro per questo possiamo pregare. Per la pace, che custodisce la vita.
Scrittrice