Il parco di Roma dove è stato ritrovato il corpo di un senza fissa dimora
Aumentano i poveri a Roma. Sono sempre più i giovani e le famiglie "normali". Crescono le disuguaglianze, le criticità mentali, le dipendenze. Manca il lavoro e manca la casa. E si finisce per strada o, pure in casa, si vive come "barboni". È un quadro drammatico quello che fa la Caritas della Capitale nel rapporto La povertà a Roma: un punto di vista, presentato ieri. Il frutto di concrete osservazioni nei tre centri di ascolto diocesani e nei 145 parrocchiali. Lo scorso anno ai primi si sono rivolte 15.046 persone, ai secondi 6.103. L’anno prima erano stati 13.884 e 6.680.
Famiglie fragili, soprattutto. A Roma quasi 100mila sono senza occupati, quelle con un solo occupato sono aumentate del 47,8% in dieci anni, 125mila hanno figli minori e un reddito lordo di 25mila euro l’anno. Circa il 25% dei romani tra 18 e 29 anni è disoccupato, il 52% tra 25 e 39 anni ha solo un lavoro con contratto a termine. E crescono i giovani che non studiano, non lavorano né sono in formazione: erano 79.953 nel 2008, lo scorso anno sono arrivati a 134.556, con un aumento del 68%. Sono i cosiddetti Neet che, scrive la Caritas, «sono spesso giovani mortificati da un iter scolastico fallimentare e da un mercato del lavoro che ha come unica certezza l’instabilità ». Un’esclusione sociale ereditaria, denuncia il Rapporto. «Spesso i poveri più giovani sono figli di famiglie travolte da spaventose posizioni debitorie, relative a canoni di locazione non pagati o bollette delle utenze saldate in maniera discontinua; essi accettano più facilmente lavori in nero per fermare atti di pignoramento che diverrebbero esecutivi in presenza di un reddito certificato». Un città sempre più disuguale, denuncia la curatrice del rapporto, Elisa Manna, responsabile dell’Ufficio studi di Caritas. Così l’1,8% dei romani ha un reddito superiore ai 100mila euro l’anno, mentre il 51,3% non arriva a 15mila. E per gli anziani è anche peggio. Sono ben 146.941 gli ultra65enni che sopravvivono con meno di 11mila euro.
Ma chi si rivolge ai centri d’ascolto? Nei tre diocesani il 60% sono extracomunitari, il 74,75 uomini, soprattutto giovani africani ma anche molti giovani italiani. Nei centri parrocchiali il 50% sono italiani, la maggior parte con più di 45 anni, il 69% donne. Solo nel 21,4% godono di un reddito vero e proprio. Gli altri vivono di aiuti di familiari e amici (17%), contributi pubblici (15,4%), assegni di aiuto (13,8%), risparmi personali (10,9%) o nessun reddito (15,3%). In quelli diocesani la situazione è ancora più drammatica, con il 72% degli utenti che non beneficia di nessuna entrata.
I problemi maggiori sono il reddito insufficiente (80%), la solitudine e il bisogno di essere ascoltati (46,4%). Il 58,9% chiede un lavoro, il 47,6% chiede da mangiare. Ma emergono anche precarietà abitativa, fragilità psicologica, bassa scolarità, conflittualità familiare, disabilità, disinformazione rispetto ai propri diritti. Il 21% si rivolge per problemi di dipendenze, alcol, droga e azzardo, quest’ultimo in forte aumento. Ben il 20% ha problemi psichiatrici. Sofferenze connesse spesso alla mancanza di lavoro o alla precarietà. Numeri che salgono per gli stranieri. Nel centro diocesano a loro dedicato ben l’80% aveva sintomi di tipo depressivo, soprattutto giovani, nel 30% dei casi con caratteristiche post traumatiche. L’effetto delle violenze subite nel lungo viaggio migratorio.
Come più volte denunciato dalla Caritas la questione abitativa provoca e aggrava la povertà. Ai centri d’ascolto oltre mille persone si sono rivolte alla parrocchia come ultima risorsa: 673 si appoggiano da amici, parenti o datori di lavoro, 218 ricorrono ad alloggi di fortuna, 205 si rifugiano nei centri d’accoglienza. Se si guarda ai diocesani il 63,9% ha una sistemazione alloggiativa 'di aiuto' e solo il 32,8% riesce a pagare l’affitto, in realtà per due terzi subaffitto. «Noi vogliamo far sentire il grido del povero – commenta il direttore della Caritas, don Benoni Ambarus –. Nella città stanno crescendo rabbia e rancore, frutto del disagio. Ma la guerra tra poveri la pagheremo tutti. Questa città deve restare unita. La povertà non è una colpa ma un dramma umano».