Tre giovani haredì (ebrei ultraortodossi) a Gerusalemme - Wikimedia commons
I legami con la propria casa, con la cultura a cui si appartiene per nascita, in fondo con il passato, non si riescono a recidere del tutto. Restano sepolti per anni, ma le circostanze prima o poi dimostrano che o si scende a patti con la propria storia o le ferite non guariscono mai del tutto. È la storia di Rachel, un'ebrea laica, scrittrice di successo in Gran Bretagna. Sposata con un docente universitario più grande di lei che le è stato mentore e che, tra i pochi al mondo, conosce il suo segreto. Un passato che riemerge con prepotenza quando Rachel si traferisce a Milano per un ciclo di lezioni all'università: una studentessa, sua grande ammiratrice, la coinvolge in modo inaspettato in una missione in Israele. E in un passato che ritorna a galla.
Non sveliamo troppo sull'intreccio di Habaytah, verso casa, l'ultimo libro di Maria Elisabetta Ranghetti, scrittrice lombarda che ha già dedicato a Israele e alla complessa cultura ebraica diversi romanzi, da Oltre il mare di Haifa del 2015 a Corri più che puoi del 2017, che nei suoi continui cambi di scena e sati temporali lo avvicina a un giallo. Il vero protagonista, al di là delle vicissitudini della protagonista che ricordano quelle della giovanissima fuggitiva di Unorthodox, è il mondo asfittico della comunità ultraortodossa di Mea Shearim, da dove Rachel è scappata poco più che adolescente per sottrarsi a un matrimonio combinato. Sono le pagine più intense del romanzo, quello in cui si descrive la vita quotidiana della famiglia di charedì, le tradizioni del tutto anacronistiche, la mancanza di libertà e di autonomia delle donne.
È da questo che è fuggita Rachel. Habaytah, verso casa è una storia di legami familiari strappati ma non del tutto e non per sempre, del desiderio o forse del bisogno di ricucire il prima e il dopo della propria vita.