Il più giovane ha 25 anni, il più anziano quasi 80. Sono decine e tutti molto arrabbiati: sono gli ex allievi dell’Istituto per sordi Provolo, messi insieme coprono tutto l’arco dei decenni in cui si sarebbero svolte le presunte violenze ai loro danni. Dal 1950 al 1984, oltre 30 anni, «ma guarda caso nessuno di noi ha mai sentito nulla». Sui giornali locali del mattino hanno letto cose che definiscono « dell’altro mondo», «follie», «menzogne intollerabili » e tutti sono d’accordo su un punto: «Speriamo che non si lasci correre, che si arrivi a un processo, perché chi ha messo in giro calunnie tanto gravi deve pagare». Le calunnie cui si riferiscono sono quelle diffuse, con un servizio sull’Espresso, da Giorgio Dalla Bernardina, veronese, in un lontano passato per poco tempo alunno dell’Istituto (dopo poco era stato espulso per i suoi comportamenti), e oggi presidente della Associazione Sordi Antonio Provolo, che riunisce una sessantina di soci, gli stessi che hanno sottoscritto la testimonianza consegnata al settimanale. Per una strana combinazione, infatti, tutti quelli che secondo l’accusa avrebbero subìto violenza sarebbero in seguito confluiti nella stessa associazione, che fino ad oggi, peraltro, ha mantenuto ottimi rapporti con l’istituto tanto da riunirsi due volte la settimana in quella sede. «Eravamo numerosissimi, possibile che quei sessanta hanno visto e subìto sevizie e violenze inaudite e noi non ci siamo mai accorti di nulla? – osserva Adriano S., classe 1940, per 8 anni cresciuto nell’Istituto veronese – Essendo sordi, vivevamo giorno e notte insieme, dormivamo, facevamo vita comune, se fosse vero ciò che scrive l’Espresso lo avremmo saputo tutti. Io poi sono uscito dal collegio che avevo 15 anni, a quell’età le cose si capiscono». Tanto più che i sordi vivono un’unione tutta particolare: inseriti in un collegio fin dalla prima età per imparare a emettere suoni che non sentono, a pronunciare parole a loro sconosciute, mai sentite dalle labbra della mamma, crescono lontani dai genitori, isolati da un mondo che parla e gli è estraneo, e così creano tra loro un cameratismo indissolubile: «La mattina si andava a lezione – spiega Nicola – ma la nostra vera vita era tutto ciò che si svolgeva poi fuori dalla classe, pomeriggio e sera, quando tra noi ci si raccontava tutto, si condivideva anche il pensiero più intimo, si creava un legame da fratelli veri. Noi comunità sorda ci scambiamo ogni confidenza, e mai un abuso a uno di noi sarebbe passato inosservato, figuriamoci a danno di cento bambini, da parte di 25 religiosi, per 30 anni...». Suona tutto ancora più inverosimile, quando ascolti chi in quell’Istituto ha studiato, è diventato adulto. «I genitori venivano a trovarci la domenica, se abitavano vicino, altrimenti una volta al mese – continua Adriano S. – ma quei religiosi ci facevano da padre e da madre. Ricordo la sera quando uno per uno ci davano una carezza sulla testa, proprio come avrebbe fatto un padre ». Mario E. è rimasto in Istituto dal 1954 al 1971, la bellezza di 17 anni, e, come tutti, conosce da decenni Dalla Bernardina, «molto noto a Verona per il numero di cause che intenta a gente varia. Anche l’Ens, l’ente nazionale sordi, tempo fa gli ha presentato un provvedimento di espulsione perché non si atteneva ai comportamenti dettati dallo statuto. Ora è un uomo che, per risentimenti dovuti a uno sfratto subito dalla sua Associazione finora ospitata gratis nei locali dell’Istituto, ha pensato di vendicarsi così, ma in questo modo sputa nel piatto in cui ha mangiato e getta fango su una delle istituzioni più sante della città. Sono rimasto allibito a leggere di ' bambini sodomizzati per anni e a gruppi sotto l’altare' o nei confessionali e altre cose assolutamente impossibili. Conosco benissimo quelli che ha plagiato per farli firmare, sono i più deboli tra noi, poveretti, persone con forti problematiche, impaurite dal suo temperamento». Ugo S. ha 71 anni, per 8 ha frequentato l’Istituto e ricorda bene quei sacerdoti, «severi, se devo proprio muovere una critica, che ci facevano pregare ogni mattina e studiare molto, ma oggi, che grazie a loro io so parlare, li ringrazio anche di questo». Come Giovanni M., ospite tra il 1950 e il ’59, «spesso ma-lato, ma la notte se stavo male c’era sempre un prete che si svegliava per l’assistenza. Stanotte, dopo quello che avevo visto sul sito dell’Espresso, non ho chiuso occhio: troppo arrabbiato, perché accuse tanto fantastiche mi hanno sconvolto, solo una mente diabolica può inventare cose simili. Se dovessi descrivere cos’è stato l’Istituto per me direi una sola parola: oro». Vittorio è vissuto 18 anni al Provolo, a partire dai «10 di scuola elementare anziché 5, perché ogni anno lo si ripeteva due volte per imparare a parlare, poi ho frequentato le medie e la scuola professionale interna. Nei preti ho trovato docenti di alto valore morale. Se oggi sono bilingue, e oltre alla lingua dei segni so anche parlare con la voce, lo devo ai miei buoni maestri che hanno tanto insistito. Erano gli anni ’50, in tutte le scuole allora si usava la bacchetta o scappava qualche scapellotto, questo sì, ma tutto rientrava in un legame af- fettivo sincero: loro ci hanno dato gli strumenti per affrontare una vita per noi molto difficile». Ha pianto di vero dolore Paolo, 25 anni, troppo giovane per testimoniare, ma anche lui conosce bene alcuni dei preti accusati: «Una vigliaccata – dice – perché ormai non possono difendersi, non solo in quanto anziani, ma perché i presunti fatti sono caduti in prescrizione, gli si nega così la possibilità di lottare per il proprio onore. Perché chi li accusa ha parlato solo una volta scaduti i termini per un processo?». La Compagnia di Maria per l’Educazione dei Sordomuti è la più piccola congregazione di Verona, solo 26 allora (21 oggi), dei quali 25 avrebbero violentato sistematicamente cento bambini, e dieci di loro sarebbero ancora vivi. Era mattina ieri, quando uno dei più giovani con tatto ha chiesto all’anziano confratello se avesse saputo cosa sta succedendo in questi giorni. Il vecchio sacerdote era pensoso: lo aveva saputo. Poi sempre con tatto gli ha detto che su Internet erano anche circolati i nomi degli accusati ancora in vita. Con ansia il religioso ha chiesto se tra quelli figurasse anche lui. Saputo che era così si è illuminato: «Allora sono felice, adesso so che non c’è niente di vero».