Oltre «trent’anni di abusi» e sevizie di ogni genere, che dagli anni ’50 fino al 1984 si sarebbero protratti da parte di «venticinque religiosi» all’interno dell’Istituto «Antonio Provolo » di Verona, una delle istituzioni più benemerite della città, ai danni di «almeno un centinaio di bambini», per di più sordomuti e poveri, figli di un Nord-Est all’epoca contadino e indigente. Questa la scioccante e abnorme denuncia che oggi L’Espresso propone sulle sue pagine e ieri già
DA CHIARIRE URGENTEMENTECinque punti oscuriUna vicenda assolutamente tutta da chiarire quella che sarebbe capitata all’Istituto Provolo di Verona, con molti punti oscuri e tanti interrogativi. Trascuriamo le non poche e non irrilevanti 'imprecisioni' circa le verifiche compiute in loco dall’Espresso, e concentriamoci per un istante su questa storiaccia che ha - letteralmente dell’incredibile. Senza pretendere di anticipare né assoluzioni né verdetti di colpevolezza, sorge infatti una serie di dubbi che proviamo a sintetizzare in cinque domande. 1 - La buona fama dell’istituto, attivo a Verona da oltre un secolo, è fuori di dubbio. Come è possibile che questa vicenda, che secondo le accuse sarebbe cominciata oltre 50 anni fa, sia rimasta nascosta a tutti per tanto tempo? 2 - Le violenze si sarebbero protratte fino al 1984 - per cessare all’improvviso, non s’è capito come - avendo coinvolto decine e decine di vittime. Nessuno che abbia mai sentito il bisogno di denunciare la cosa in maniera minimamente circostanziata, quando ricostruire i fatti sarebbe stato ancora possibile e i reati non erano caduti in prescrizione? E nessuno, se davvero nella vicenda ci sono così tante anime nere, che abbia mai sentito agitare il cuore dal pentimento? 3 - La denuncia nasce davvero e soltanto da una volontà 'positiva' di puntare finalmente il dito contro il male o ci sono altre ragioni meno nobili? E perché nel momento in cui si è preso ultimamente contatto con la Curia, non si è voluto seguire l’iter per un percorso efficace e sollecito della denuncia, rivolgendosi piuttosto ai media? 4 - Si parla di sessanta vittime, che sarebbero tutte singolarmente provenienti da uno solo dei diversi sodalizi di ex allievi, e delle quali per ora nessun nome è riconoscibile, se si esclude il denunciante odierno. Si tratta di persone concrete o no? 5 - Secondo le accuse, gli attori delle violenze sarebbero ben 25. Un numero elevatissimo, quasi incredibile, considerando che l’istituto è arrivato a contare al massimo 26 religiosi lì residenti. Possibile che in uno stesso ambiente religioso fosse concentrata una così larga quota di perversione? Ovvio, dicevamo, che non si cerchino facili assoluzioni. E tuttavia il delitto che si prefigurerebbe su bambini già provati dalla vita, appare così doppiamente obbrobrioso che non si può non chiedere una solerte, adeguata precisione. Esattamente per amore della verità. |
anticipava nell’edizione on-line. «Per oltre un secolo è stato un simbolo della carità della Chiesa: una scuola specializzata per garantire un futuro migliore ai bambini sordi e muti», esordisce L’Espresso ammettendo subito l’alta fama che caratterizza da sempre l’Istituto Provolo di Verona, ma poi cita quindici ex allievi, non meglio identificabili, che oggi hanno scelto il settimanale del gruppo di Repubblica per far emergere le presunte atrocità avvenute addirittura tra i trenta e i sessanta anni or sono: «Tutti i reati sono ormai prescritti», ammettono gli accusatori, ma «una decina dei religiosi accusati sono anziani e restano ancora in servizio nell’Istituto». A denunciare il fatto è l’Associazione Sordi Antonio Provolo (una delle tante che riuniscono gli ex alunni dell’Istituto), nella persona del loro presidente, Giorgio Dalla Bernardina, il quale all’Espresso parla di ripetuti e inutili appelli al vescovo, di lettere rivolte invano alla Curia, di incontri recenti tra decine di presunte vittime e don Danilo Corradi, superiore generale dell’Istituto Provolo, il quale avrebbe non solo ammesso le colpe ma avrebbe «sudato, chiesto perdono» e si sarebbe inginocchiato davanti a loro. E c’era proprio don Danilo Corradi, ieri, davanti al vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, a leggere la cronaca e a non raccapezzarsi: «Mai stato a quell’incontro ». Accanto a lui altri confratelli della stessa congregazione tirata in causa, quella della «Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti», la più piccola di Verona, a tutt’oggi impegnata nell’aiuto ai sordi e specializzata nella formazione professionale: solo 21 religiosi in tutto, dei quali – secondo le accuse – la metà sarebbero i sopravvissuti tra i pericolosi aguzzini. «Se i fatti risultassero fondati – premette subito il vescovo Zenti – segnerebbero la comunità cristiana con una ferita lacerante, a partire da quella delle persone abusate, alle quali andrebbe il senso della più vera vicinanza e solidarietà cristiana, e in questo senso saranno istruite tutte le pratiche necessarie per dare trasparenza alla Chiesa ed evitare zone d’ombra o sospetti. Se la giustizia dei tribunali conosce i tempi della prescrizione, quella della coscienza non prevede scadenze». Netta dunque la volontà di fare al più presto chiarezza, perché «della verità la Chiesa non ha paura», ma proprio la gravità della accuse rende necessaria una trasparenza da parte dei denuncianti che oggi manca del tutto: «Rammarica peraltro che un numero così consistente di persone intervenga solo a distanza di così tanto tempo, impedendo di fatto alla giustizia penale e a quella ecclesiastica di intervenire sanzionando eventuali colpevoli ». Perché infatti decenni di silenzio, tra l’altro considerato il fatto che la stessa Associazione, e quindi gli stessi presunti abusati, hanno sede proprio nell’Istituto in cui avrebbero subito gli orrori e, ospitati a titolo gratuito, in quegli stessi locali si ritrovano due sere a settimana per riunioni e intrattenimenti? Non solo: «Stupisce – prosegue il vescovo – che tutti i denuncianti appartengano all’Associazione Sordi Antonio Provolo, senza che si abbiano riscontri analoghi di altri sordomuti appartenenti alle altre Associazioni che hanno frequentato l’Istituto negli stessi anni...». Annotazioni che non possono non far riflettere. Così come la totale mancanza di nomi, luoghi, date: L’Espresso parla di testimoni che conoscerebbero nomi e cognomi sia delle presunte vittime che dei presunti abusanti, ma a tutt’oggi il vescovo di Verona e i vertici dell’Istituto Provolo non hanno ottenuto di conoscerli, il che oltre a vanificare qualsiasi denuncia, ha reso impossibile avviare una indagine interna alla Chiesa: «Ci vogliono dire i nomi di questi religiosi accusati? Ci fanno conoscere i quindici ex allievi che decenni fa sarebbero stati abusati? Ad oggi forse l’unico che conosce i nomi è il giornalista dell’Espresso, sempre che a lui li abbiano detti», chiede il vescovo. Per ora l’unica cosa tangibile sono le 4 missive intercorse tra l’Associazione Sordi e la Curia. La prima, datata 8 settembre 2008 e indirizzata a monsignor Zenti: vi si parla del fatto in quattro parole totali, «pedofilia e abusi sessuali», all’interno di una breve lettera volta in massima parte a ottenere la revoca dello sfratto ricevuto mesi fa dall’associazione dai locali dell’Istituto. La seconda, del 5 ottobre, è un biglietto scritto a mano per chiedere «a quale istituzione possiamo rivolgerci per il problema della pedofilia», seguono «cordiali saluti» e 83 firme spesso non leggibili, che non si specifica se siano di presunte vittime o di chi. A quel punto il vescovo affida le persone a monsignor Giampietro Mazzoni, vicario giudiziale, il quale spiega loro nei dettagli come procedere per produrre una efficace denuncia. Come risposta gli arriva la terza missiva, datata 20 novembre, di nuovo generica. Il vicario giudiziale, il 2 gennaio 2009, spiega ancora una volta con una lettera di istruzioni come devono procedere, ma, anziché avanzare la denuncia, a questo punto preferiscono un servizio sull’Espresso. «Nell’unico incontro avuto con Giorgio Dalla Bernardina – ricorda il vescovo – alla presenza di testimoni, mi ha detto che se l’Istituto non avesse revocato lo sfratto, loro avrebbero reso pubblici episodi di pedofilia...». È l’ora della verità, conclude Zenti, in tutti i sensi: «Saremmo del tutto solidali con le eventuali vittime se i fatti risultassero veri, ma ci riserviamo ogni azione altrettanto rigorosa nelle sedi opportune a tutela della Chiesa qualora dovesse emergere l’infondatezza dei fatti». Intanto lo sfratto, da qualche anno oggetto di un contenzioso davanti al Tribunale di Verona, resta esecutivo. Nonostante le minacce. Uno scorcio di Verona