lunedì 4 marzo 2024
Era stato inaugurato solo un mese fa, e sorge su un'area confiscata alla criminalità. Di bulli, mafiosi, camorristi abbiamo le tasche piene. La smettessero di angariare la gente
Un murale dedicato al piccolo Giuseppe Di Matteo in una scuola di Castelvetrano

Un murale dedicato al piccolo Giuseppe Di Matteo in una scuola di Castelvetrano - Fotogramma

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Un atto vandalico o un messaggio in codice? Per quale motivo il parco intitolato al piccolo Giuseppe Di Matteo e al giovane Antonio Petito, a Casal di Principe, solo un mese fa, è stato distrutto? Ancora: è solo un caso che il fatto sia avvenuto in prossimità dell'anniversario della vile uccisione di don Peppino Diana? Ancora non lo sappiamo e, forse, non lo sapremo mai con certezza. Non lo sapremo mai perché conosciamo bene le modalità vigliacche della camorra che non ricusa di ricorrere anche ai ragazzini e agli adolescenti per i suoi fini.

Il parco sorge su un'aerea confiscata. Se c'è una cosa che i camorristi non tollerano è la confisca dei beni. Si son venduti l'anima per accrescere i loro patrimoni, vederselo scivolare dalle mani gli è insopportabile. Ancora più grave il fatto che venga intitolato a un giovane da loro ucciso per banalissime ragioni. Antonio Petito aveva solo 20 anni quando ebbe un diverbio con un ragazzino di 13 anni appena, figlio di un famigerato boss. Quella lite segnò la sua condanna a morte. Il calendario segnava 8 febbraio 2002. Il rampollo andò a casa, riferì, si lamentò. Chissà, magari, pianse. L'offesa era intollerabile, occorreva lavarla con il sangue. Cosi avvenne. La camorra scrisse un'altra delle sue orribili pagine.

Ci sarebbe da indagare il cuore umano per capire il motivo di tanta indifferenza da parte dei rampolli della camorra. Incapaci di gestire un momento di rabbia, una piccola sconfitta, di reggere il confronto con un coetaneo. Eccoli, sembra di vederli mentre corrono a chiamare i rinforzi. Qualsiasi genitore aiuterebbe il figlio a ragionare, a lasciar perdere, a soprassedere. Qualsiasi genitori eviterebbe al figlio di sporcarsi la coscienza trucidando stupidamente un giovane. Non così "loro". Per Antonio si spalancarono le porte del paradiso, per chi lo amava, iniziò il calvario.

L'otto febbraio scorso, insieme al vescovo di Aversa, al sindaco Natale, alle forze dell'ordine, a Chiara Colosimo, presidente della commissione antimafia, c'ero anch'io. Era una bella giornata di sole. Insieme al nome di Antonio Petito, c'era quello di Giuseppe Di Matteo, il bambino che l'Italia non può, non deve dimenticare. Non aveva ancora 13 anni, quel 23 novembre del 1993, quando la mafia lo fece rapire per costringere suo padre - l'ex mafioso Santino Di Matteo - a smetterla di collaborare con la giustizia. Per 779 lunghi giorni e altrettanti notti questo nostro fratellino non camminò, non giocò, non parlò con nessuno, non andò a scuola. Non ebbe una carezza, un bacio. Solo, terribilmente solo. Disumanamente solo. Il suo ultimo rifugio fu una sorta di buco scavato in un casolare a San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo. Un paio di carcerieri, di cui non vogliamo ricordare il nome, gli portavano da mangiare con il volto incappucciato. Lui, Giuseppe, al loro arrivo si metteva con la faccia al muro. Anche quell'11 gennaio del 1996, sentendoli arrivare corse a nascondere il volto nell'angolo. Stavolta però vennero per strangolarlo. Lo fecero. Senza vergogna, Senza pudore. Con una ferocia che rasenta la banalità. Nemmeno una tomba poté avere Giuseppe. Il suo corpicino fu disciolto nell'acido.

Nessuno ha pagato alla mafia un prezzo più alto di quello del piccolo Giuseppe. Non oso immaginare le sue giornate, i suoi pianti, la sua disperazione. Sono certo, però, che gli angeli, per non farlo impazzire, scendevano a tenergli compagnia.

Vandalizzare il parco dedicato a Giuseppe e ad Antonio è più grave di quanto si possa immaginare. Certo, sarà ripristinato subito. Casal di Principe non si arrende. Il martirio di don Peppino Diana ha segnato uno spartiacque. La data del 19 marzo 1994 segna un prima e un dopo. Troppo male, a noi, alla nostra terra, ai nostri figli, ha fatto la camorra per pensare di poter continuare a vivere come se niente fosse. Bando a ogni rassegnazione. Si guarda avanti. Si avanza. Chi, ancora una volta, ha pensato di umiliare i nomi di Giuseppe e Antonio, se ne faccia una ragione. Di bulli, mafiosi, camorristi abbiamo le tasche piene. La smettessero di angariare la gente.

E cominciassero a vivere da uomini.

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