martedì 29 gennaio 2013
Per la Corte di Cassazione il ministero dei Trasporti e quello delle Difesa non solo non hanno fatto nulla per proteggere i voli, ma in seguito ci furono tentativi per allontanare gli inquirenti dalla pista giusta.
Una mezza verità ancora non basta di Antonio Maria Mira 
Trent'anni di depistaggi. Verità ancora lontana
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Il Dc-9 Itavia esploso in volo con 81 persone mentre sorvolava il cieli di Ustica fu abbattuto da un missile. La Corte di Cassazione non ha dubbi. E con una sentenza della terza sezione civile ha stabilito che debbano essere risarcite dallo stato le vittime di un’azione bellica ancora misteriosa, avvenuta la sera del 27 giugno 1980.La corte ha così confermato una sentenza civile emessa dal Tribunale di Palermo nel settembre 2011, che ha condannato lo Stato al pagamento di oltre 100 milioni di euro ai familiari delle vittime per non aver garantito la sicurezza del volo.Secondo la sentenza l’aereo civile fu centrato da un missile. «Tutti gli elementi considerati – scrissero i giudici palermitani – consentono di ritenere provato che l’incidente occorso al Dc9 si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del Dc9 viaggiavano parallelamente ad esso, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del Dc9 al fine di non essere rilevato dai radar». Ne seguì il lancio «di un missile sganciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto, oppure, di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto ed il Dc9», concludeva la sentenza del magistrato siciliano Paola Proto Pisani. Tesi sposata dai giudici di terzo grado, i quali ritengono «abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile». Perciò è stato respinto il ricorso presentato dai ministeri della Difesa e dei Trasporti ribadendo che i parenti delle vittime del disastro vanno risarcite.Il Douglas-9 dell’Itavia, era decollato da Bologna ed era diretto a Palermo. Lungo la rotta l’aeromobile finì in un corridoio di guerra tra top gun, mentre – sembra suggerire la Corte – il ministero dei Trasporti e quello della Difesa non solo nulla hanno fatto per scongiurare il pericolo, ma in seguito a una serie di depistaggi è stata reso impossibile l’accertamento della verità. «Non c’è dubbio – scrivono i giudici di piazza Cavour – che le amministrazioni avessero l’obbligo di garantire la sicurezza dei voli e che l’evento stesso dimostra la violazione della norma cautelare». In sostanza, la rete dei radar civili e militari quella notte non aveva garantito un controllo sufficiente: «Una volta dimostrata in giudizio la sussistenza dell’obbligo di osservare la regola cautelare omessa – spiega la sentenza – ed una volta appurato che l’evento appartiene al novero di quelli che la norma mirava ad evitare attraverso il comportamento richiesto, non rileva ai fini dell’esonero dalla responsabilità che il soggetto tenuto a detta osservanza abbia provato la non conoscenza in concreto dell’esistenza del pericolo».Gli enti coinvolti erano riusciti ad ottere la sospensione del primo maxirisarcimento ai familiari delle 81 vittime: 110 milioni. Prima di ieri l’unico procedimento giudiziario conclusosi con sentenza definitiva era quello che aveva mandato assolti due generali dell’Aeronautica, accusati dai magistrati di aver tentato di deviare le indagini.Se qualcosa in più si sa della dinamica, ancora manca la verità processuale sui colpevoli. Per Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei parenti della vittime, la Suprema Corte riconosce «una colpa ed una verità già emerse in sede penale». Un segnale importante, «perché viene ribadito che è stato abbattuto un aereo civile in tempo di pace». Ora occorre «andare avanti con più forza nella ricerca della verità».

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