Il rosso e il nero. Con molti peluche e giocattoli, una grande stanza al terzo piano nella “Casa della Speranza” è quella dove si svolgono anche i laboratori ludico-ricreativi per i bimbi ospiti. In un cassetto ci sono i loro disegni e due colori predominano. «I piccoli tendono a usare quasi soltanto questi, il colore del sangue e quello della malvagità», spiega Cristina Onexe, operatrice sociosanitaria. Qui le notti dei bambini, specie i primi mesi, appena arrivati, sono popolate di incubi, a volte di urla e risvegli di soprassalto. Loro sono stati abusati o hanno visto abusare le loro madri e mentre dormi il ricordo delle violenze piomba sull’anima ancora più devastante.Una telefonata anonima, non molto tempo fa: una mamma disperata accortasi che il figlio è abusato dal padre, da anni, minacciando il bambino che aveva smesso di parlare. Abbandona l’anonimato, quella mamma, viene aiutata, confortata, ospitata nella “Casa della speranza” dell’Associazione Meter, insieme alla “Fondazione suor Maria Lamacchia” (la religiosa che “inventò” questa Casa) e all’Unitalsi. «Pian piano siamo riusciti a convincerla a denunciare quel mostro e adesso il bambino è salvo. Ed ha ripreso a parlare», racconta Cosimo Cilli, che presiede la Fondazione.Hanno avuto problemi, qui. Anche qualche minaccia, ma nemmeno si sognano di mollare. «La domanda è altissima, non riusciamo ad accogliere tutti quelli che ce lo chiedono, né a soddisfare ogni richiesta che arrivi dai Tribunali minorili o dai servizi sociali», va avanti Cilli. La cosa più brutta capitata? «Vedere una mamma dare più peso al suo compagno che ai suoi figli...», risponde Daniela Carpentiere, educatrice della “Casa”. E la cosa più bella, il vostro sogno? «Che i nostri bambini possano recuperare tutto quanto hanno perso nel loro passato avere tutto quanto non hanno potuto avere. Anche semplicemente l’amore pulito».Le operatrici sono donne. Tutte. Ed è facile comprenderlo, visto che chi è stato violentato e/o picchiato da un uomo, non può certo aprirsi e affidarsi, almeno all’inizio, a figure maschili. «La nostra struttura nasce nel 2011 per accogliere bimbi e donne vittime di violenze. Una specie di “nido” dove accogliere, ascoltare e proteggere situazioni assai particolari».Chi è passato e passa da qui ha conosciuto l’inferno. Come la prima donna che arrivò nella “Casa”. Tre anni fa venne in Italia per lavorare. Romena, un bimbo di un anno. Invece quasi subito «usata e abusata», ingannata e schiavizzata. Da «un ottantenne che la faceva prostituire in casa, offrendola anche ai suoi amici e il bimbo in un angolo era costretto ad assistere», ricorda Cilli. «I carabinieri ci chiamarono chiedendoci di accogliere mamma e bimbo, noi non avevamo ancora la “Casa della speranza”, ma una struttura per disabili. Vedere però gli occhi di quel bimbo ci convinse». Divano nel salone al secondo piano. Tre piccoli guardano la tivù, hanno dieci o undici, sei e otto anni. Entri e ti corrono incontro, ci giochi e non c’è verso di non farlo. Ti chiedono di fotografarli e “devi” fare anche questo. Ridono, ti corrono dietro per il corridoio fino alla cucina. «È un anno che loro sono qui, sono fratelli e hanno anche una sorella. La loro storia è stata terribile. Eppure adesso si stanno riprendendo». È vero, il cronista è un uomo eppure questi piccoli non hanno alcun problema a scherzarci e ridere insieme. Anzi.Ma quel vostro sogno, Daniela, è davvero realizzabile? «Sì, credo di sì».