ANSA
Escono tutti un po' sconfitti dal voto degli iscritti al Movimento 5 stelle sulla richiesta di autorizzazione a procedere verso il ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Il responso è stato una vittoria del No, che è stato confermato nella riunione della giunta del Senato per le immunità, chiudendo le porte del processo (come chiesto dal Tribunale dei ministri di Catania) a Salvini in relazione alla vicenda della nave Diciotti e dei 177 migranti, trattenuti per giorni a bordo nel porto catanese, lo scorso agosto. I no al procedimento, che hanno così accolto la proposta del presidente Maurizio Gasparri, sono stati 16 su 23 (anche Forza Italia ha votato no), con solo 6 contrari. Ne esce sconfitta la democrazia rappresentativa: si fatica a capire, infatti, perché 11 milioni di elettori che hanno eletto 327 parlamentari pentastellati, alcuni dei quali (i presenti in giunta) pagati appositamente per studiare le carte di una delicata vicenda processuale, abbiano dovuto delegare la decisione a poco più di 50mila persone che, non avendo accesso ovviamente a quelle carte, hanno dato un voto solamente sulla base delle proprie "sensazioni". Ne esce sconfitta la stessa democrazia diretta perché, al di là delle scontate rivendicazioni del vicepremier Luigi Di Maio («Abbiamo fatto decidere i nostri iscritti, loro decidono e noi portiamo avanti quella linea. Se lo avessero fatto gli altri, ora non starebbero all'opposizione», sono state le sue parole), pur senza parlare di "manipolazioni" c'è da considerare che resta affidata a uno strumento di scarsa trasparenza, come la piattaforma Rousseau gestita da un'azienda privata (la Casaleggio associati), e soggetta a intoppi, malgrado i 90mila euro al mese versati a Rousseau dai parlamentari M5s. Ne escono sconfitti i vertici del Movimento, che contavano probabilmente in una percentuale più alta che ratificasse la loro linea, invece del 59% ottenuto, sottovalutando il "peso" sui votanti on-line di una vicenda comunque legata al fenomeno migratorio, forse ancor più che all'aspetto penale in senso stretto. Ne escono sconfitti i cantori della purezza e della diversità del Movimento, costretti a prender atto che è bastato meno di un anno di governo per "piegare" le parole d'ordine dei 5 stelle a una sorta di realpolitik che porta a vedere ogni dossier sotto una luce diversa, dalla Tap in poi.
In ogni caso, quello avvenuto resta un passaggio non indolore per il Movimento. Un passaggio che, dopo l'alleanza stretta con la forza politica in qualche modo più assimilabile - la Lega -, richiederà il pagamento di un prezzo istituzionale. Al tirar delle somme l'unico non sconfitto resta Matteo Salvini, sempre più padrone della scena e, con essa, dei nodi da sciogliere. Che, in questo caso, riguardano soprattutto la tenuta elettorale di M5s, ormai divenuto qualcosa di diverso rispetto alle origini. E anche la stessa tenuta interna di una formazione che ha già ripetutamente visto forti contrapposizioni al suo interno. L'acceso dibattito in corso in queste ore su blog e forum vicini ai 5 stelle ne è una riprova. Per cercare di sedarlo, parole chiare sono giunte dal deputato Francesco Silvestri: «Ricordo a quanti cercano giornalmente visibilità sui giornali che è proprio grazie a Rousseau che sono potuti entrare in Parlamento, ben sapendo le regole. Se la senatrice Fattori e altri non condividono più questo modus operandi, potrebbero semplicemente dimettersi». I prossimi mesi faranno capire se il Movimento sarà in grado di "uscire a riveder le stelle".