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Ai morti del naufragio del 17 luglio nel mar Jonio, «non sono stati riconosciuti i diritti che a tutti vengono riconosciuti. Per molti restano migranti di serie B, come lo è stato il loro naufragio di cui poco s’è detto e scritto. Un naufragio di serie B, che ha visto interessati pochi politici!».
È la forte denuncia del vescovo di Locri-Gerace, don Franco Oliva, nell’omelia per la messa in suffragio di questi morti in occasione del rimpatrio di 13 salme, 8 curdi iracheni e 5 curdi iraniani. Un rimpatrio, come ha sottolineato il vescovo, reso possibile soprattutto grazie all’impegno dei volontari della Caritas diocesana che ha accolto i familiari dei morti e dei dispersi, li ha sostenuti nel difficile e drammatico riconoscimento, ha seguito le pratiche in collaborazione con la prefettura di Reggio Calabria e le autorità irachene. Un percorso difficile, che conferma la denuncia del vescovo. Infatti ufficialmente non si sa neanche il numero esatto dei morti e dei dispersi della tragedia di un mese e mezzo fa.
Alcuni fonti parlano di 35 corpi recuperati, altri di 41, oltre una donna morta dopo il soccorso, altri di 46. Oltretutto sparsi in tutta la provincia, tra Locri, Polistena, porto di Gioia Tauro e Reggio Calabria. Oggi le prima 13 salme dovrebbero partire a bordo di un aereo militare iracheno già arrivato all’aeroporto di Reggio Calabria. Ma fino all’ultimo ci sono stati problemi coi documenti che autorizzano la partenza. In una situazione di mancanza di informazioni ufficiali, sia sulla presenza dei familiari che sul riconoscimento della salme. Proprio per questo il vescovo ha voluto celebrare la messa ieri nella chiesa di San Nicola ex Aleph, vicino al porto di Roccella Jonica, dove avviene la maggior parte degli sbarchi calabresi, anche quello del 17 giugno.
«Ho scelto Roccella Jonica per questa celebrazione, e questa parrocchia della Marina, perché è proprio qui il luogo di approdo di tanti migranti. Il suo porto rappresenta per tanti la speranza di una vita nuova. E questa comunità impegnata nell’accoglienza». Per i morti in questo naufragio non c’è stata nessuna cerimonia o ricordo pubblico, tranne la fiaccolata promossa sempre dalla diocesi di Locri-Gerace. E ieri la messa che, spiega ancora il vescovo, «è un gesto di misericordia corporale per quanti sono morti in uno dei tanti viaggi della speranza. Sono migranti in fuga per guerre e calamità naturali dai loro paesi, naufragati nelle fredde acque del nostro mare. Sono per noi fratelli e sorelle. Preghiamo per loro e per i loro cari. Non importa se il loro credo religioso sia diverso dal nostro. Dio è padre di tutti e ci ha resi membri della famiglia umana». E qui Oliva torna ad accusare. «È stato fatto il possibile per evitare questa sciagura? Cosa fa per loro e per il miglioramento delle loro condizioni di vita la politica mondiale che investe enorme risorse in armamenti e ammoderna l’industria bellica che non conosce crisi? È possibile che la sensibilità dell’uomo moderno resti indifferente di fronte alla situazione disperata di quanti affrontano questi viaggi senza un minimo di sicurezza in barconi fatiscenti?». Infine ricorda come tanti dei migranti fuggano dalle guerre e dalle violenze «che interessano molte aree geografiche, spesso depauperate da ingiustizie che vanno avanti da troppo tempo. Per questo preghiamo per la pace, per il ristabilimento delle pacifiche relazioni tra i popoli. La vita buona e dignitosa di ogni uomo va rimessa al primo posto e al disopra di ogni altro interesse. Sogniamo un mondo più umano, più interessato all’uomo e meno agli interessi finanziari ed economici!».
E il vescovo conclude ricordano i tanti minori morti o dispersi nel naufragio, ben 26. “A pagare sono sempre esseri innocenti, i bambini in particolare ed i loro sogni”.