sabato 20 gennaio 2024
Un contributo al dibattito sulla presenza dei cattolici in politica oggi
Cattolici e politica. L'eredità di Sturzo ha molto da dire anche oggi

Cattolici e politica. L'eredità di Sturzo ha molto da dire anche oggi - IMAGOECONOMICA

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Circa il dibattito che Avvenire sta dedicando al tema “cattolici e politica”, vorrei partire da questa affermazione: la Dc non fu né un partito teocratico né cattolico in senso stretto. Certo, in tutta evidenza affondava le radici in una cultura e in un mondo di corpi intermedi e organizzazioni di matrice cattolica. Ma questo dato culturale non può spiegare settant’anni di governo ininterrotto di un partito in un regime di democrazia liberale. E non può giustificare nemmeno il ruolo che la Dc ha avuto nella costruzione di istituzioni democratiche solide che hanno accompagnato il Paese in una transizione democratica e laica, caratterizzata da uno sviluppo economico e sociale che non ha eguali nella storia.

Personalmente ritengo che il successo della Democrazia cristiana, soprattutto agli esordi, sia da ricondurre a tre grandi avvenimenti che hanno avuto una portata economica e sociale epocale. In primo luogo la scelta atlantica di De Gasperi. Che non ebbe soltanto un significato geopolitico, ma una ricaduta economica straordinaria, con il piano Marshall, per un Paese che usciva dalla seconda guerra mondiale azzerato dal punto di vista tecnologico e della produzione.

In secondo luogo la riforma agraria del 1950, che consentì la redistribuzione di grandi appezzamenti agricoli. In terzo luogo la riforma del piano casa del 1949, che consentì la realizzazione di milioni di unità abitative di edilizia residenziale pubblica capaci di dare una risposta soprattutto nelle periferie delle grandi città. Nessuna di queste grandi misure economiche e sociali era scritta o prescritta nella Dottrina sociale della Chiesa. Essa definiva e definisce semplicemente e in modo generico dei princìpi di carattere generale, non le modalità di azione.

Tuttavia queste e altre iniziative scaturirono da uomini e donne che ancoravano la propria vicenda culturale proprio nella Dottrina sociale della Chiesa ovvero nella dimensione pubblica dell’essere cristiani. Non una serie di ricette preconfezionate, ma principi di carattere generale a cui dovevano essere ispirate le scelte.

Dopo la scomparsa della Dc, all’inevitabile diaspora si sono susseguiti tentativi goffi. Spesso con operazioni nostalgiche volte a resuscitare simboli e semantica di un'altra epoca.

Molto più spesso è accaduto che persone, spesso per cultura e storia personale distanti non solo dal cattolicesimo democratico, ma da qualsiasi rudimentale dimensione di fede, abbiano issato temi eticamente sensibili come vessilli, facendoli diventare clave politiche da brandire all’occorrenza e secondo le convenienze di turno.

E dunque voglio tornare alla domanda iniziale sullo spazio e il ruolo dei cattolici in politica. Personalmente penso a questo tema più come un dovere di responsabilità che va esercitato in modo professionale e organizzato, piuttosto che uno spazio scontato e dovuto.

Questo era il senso dell’“Appello ai liberi e forti”. Una chiamata che non rimase senza risposta e che, nonostante il travaglio ventennale della dittatura e delle guerre, fu capace di generare quella dimensione organizzata che abbiamo conosciuto con il nome di Democrazia cristiana. Il tema evidente perciò non riguarda l’utilità dell’impegno dei cattolici in politica, ma se e quanti “liberi e forti” sarebbero disponibili a mettersi in gioco di fronte ad un appello come quello che don Luigi Sturzo fece agli albori della dittatura. E chiaramente se è ipotizzabile che nella foschia dell’agone politico e mediatico attuale, si possa riconoscere a qualcuno l’autorevolezza di compiere un simile appello.

Andrea Causin è stato parlamentare della Repubblica

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