lunedì 17 settembre 2012
​Oggi bambini e ragazzi dell'Emilia colpita dal sisma del maggio scorso tornano tra i banchi. «Avremmo potuto ricominciare a novembre - dice un preside - ma i nostri giovani chiedono di ricominciare».
Nubifragio, Lipari conta i danni. E oggi aule chiuse
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Più che un grande cantiere a cielo aperto, un formicaio laborioso nella corsa contro il tempo. Così si presentano i vari paesi nell’Emilia del dopo terremoto intorno a quelle che erano le scuole prima del 20 maggio e a quelle che lo saranno in futuro: le prime restaurate su ciò che il sisma ha risparmiato o nel peggiore dei casi abbattute, le seconde erette in tempi record in moduli prefabbricati temporanei. La parola d’ordine è una sola per tutti: domani tutti tra i banchi. Il segreto? Un mix di organizzazione («La priorità sono sempre state le scuole», dicono i sindaci), di collaborazione tra parrocchie ed ente pubblico (istituti statali ospitati in canoniche e oratori, Messe celebrate nei tendoni scolastici), di senso pratico («Qui tutti gli spazi sono ormai «polivalenti» a scatole cinesi – racconta un’insegnante di Palata Pepoli –: ora saremo ospitati negli uffici del Comune di Crevalcore, che però a sua volta è stato accolto nella biblioteca del paese, quindi anche noi saremo lì...»). Assessori in sinergia con sacerdoti, presidi con suore, professori con genitori, tutti tendono allo stesso obiettivo: normalità.
La grande paura«La scossa più tremenda è stata la seconda, il 29 maggio, 1.200 studenti da evacuare. Per fortuna dopo il sisma del 20 maggio avevamo intensificato le prove di evacuazione», racconta Mauro Borsarini, preside dell’istituto «Bassi Borgatti» di Cento (Ferrara), scuola superiore a indirizzo economico, tecnologico e liceo di scienze applicate. Una struttura eretta pochi anni fa, ma precedente al crollo nel 2002 della elementare «Jovine» di San Giuliano in Molise (morirono 27 alunni e una maestra), dopo il quale furono approvate le nuove norme antisismiche. «La Protezione Civile ha classificato l’edificio in fascia E, ovvero del tutto inagibile, ci vorrà un anno intero perché la Provincia, cui fanno capo le scuole superiori (elementari e medie dipendono invece dai Comuni), metta a norma l’istituto e qui i ragazzi rientreranno solo nel settembre del 2013».Intanto? «Delle 57 classi, 21 verranno in questa ala che ha retto perché costruita dopo il 2002, le altre si distribuiranno tra gli ex laboratori che entro ottobre saranno di nuovo agibili, e i moduli provvisori della Regione che gli operai stanno costruendo qua fuori, pronti tra poche settimane... e poi turneranno mattina e pomeriggio». L’importante era ricominciare tutti, anche se all’inizio ognuna delle 57 classi farà lezione ogni tre giorni. «Avrei potuto tranquillamente aspettare novembre, nessuno ci avrebbe criticati, ma i ragazzi sono a casa da maggio, chiedono urgentemente normalità, relazioni. Non si tratta di perdere mesi di scuola ma mesi di vita».
Le sinergie vincentiAnche a Sant’Agostino un incastro perfetto rivela forti sinergie. «Censimento danni a persone e cose», si legge sulla porta di un’aula, accanto al disegno infantile dell’Ape Maia. Perché qui il Comune, la Protezione Civile e i Vigili del Fuoco hanno trovato sede nella scuola primaria statale, l’unica integra. Ma domani tutti faranno le valigie per lasciare il posto agli alunni delle medie del paese e ai ragazzini di Dosso e di San Carlo (tristemente nota per il devastante fenomeno delle sabbie emerse dal sottosuolo). «La scuola di San Carlo, in fascia E, è già demolita – spiega ancora Borsarini – mentre quella di Dosso avrà l’agibilità previa ristrutturazione, che è già in corso e il 17 sarà completa. Tutti gli altri 470 ragazzini ruoteranno mattino e pomeriggio qui alle elementari di Sant’Agostino fin quando non arriveranno i moduli prefabbricati, che resteranno un solo anno». Perché poi i due plessi crollati saranno già rimpiazzati «da scuole vere e modernissime, monopiano, in legno, antisismiche, a forte riduzione di consumo energetico», grazie a donazioni private. «Tutta l’estate a occuparsi delle centinaia di ragazzi però è stata la parrocchia, che li ha tenuti occupati sotto un tendone da circo».«E i collegi docenti della scuola statale li ospitiamo nel cinema parrocchiale di San Biagio, a Cento», conferma don Giulio Gallerani, giovane ed entusiasta cappellano. Anche la «sua» scuola paritaria materna, elementare e media «Elisabetta Renzi» ricomincia ad orario pieno domani e i volontari stanno dando gli ultimi colpi di pennello alla struttura restaurata che ospiterà, accanto ai 300 studenti, una nuova comunità di Figlie di Maria Ausiliatrice, suore salesiane venute a dare una bella mano. «I soldi? Tanti donatori – spiega don Giulio – anche sposi che come regalo di nozze hanno chiesto agli amici di aiutarci. Le scosse hanno crepato le pareti, i muri oscillavano di 32 centimetri, non riuscivo a camminare. I più diligenti sono stati i più piccoli, hanno obbedito alle maestre, tutti in silenzio sotto i banchini...».
L’altare nella scuolaA Palata Pepoli il tendone contiene seggioline, tavoli imbrattati di acquerello e tracce di bambini ovunque. Ma in fondo c’è l’altare, perché qui l’ospitalità è al contrario, «la nostra scuola è statale ma dobbiamo tanto all’associazionismo parrocchiale e la chiesa provvisoriamente è qui da noi». Frazione di Crevalcore, Palata Pepoli è l’unico centro terremotato in provincia di Bologna, sei chilometri dall’epicentro. «Il 29 mattina facevamo lezione all’aperto, perché nonostante l’agibilità data alle elementari dopo la scossa del 20, ci eravamo rifiutati di entrare», raccontano Lorenza Rebottini, Roberta Balboni e Maria Ricciardi, insegnanti alla scuola primaria e alla materna, entrambe inagibili. Nel paesino di 850 anime a darsi da fare è stata la società civile, specie l’Associazione «Palata e dintorni», nata dal vecchio gruppo parrocchiale. Un paese particolare Palata, dove il 30% degli abitanti sono immigrati, e nella materna il 60% dei bimbi sono stranieri, eppure l’integrazione è una realtà solida e la studentessa più premiata dalla Provincia di Bologna per i successi letterari (Premio Fahrenheit) si chiama Zineb Khaloui, marocchina. «In questo campo sportivo della Curia ora sorgeranno le due scuole nuove, ma per un anno i cento bambini staranno nei container allestiti dal Comune», dice Andrea Nannetti, genitore rappresentante in consiglio d’istituto ma anche membro del consiglio parrocchiale. L’ottimismo è palpabile, «abbiamo voglia di ricominciare – assicura Lorenza Rebottini – non tutti i mali vengono per nuocere, ci siamo riscoperti pieni di risorse e solidali». «Crediamo in una scuola di qualità e nell’educazione», aggiunge la collega Balboni, «la nostra è una scuola di Stato ma nel rispetto delle radici: qui il presepe è sempre ben visibile, il Crocifisso è alle pareti e a Pasqua il prete viene a benedire. E i genitori di altre fedi apprezzano molto questa nostra fierezza».
Operai al lavoroA Finale Emilia fieri sono gli operai mentre, a sera tarda, ci mostrano i moduli che per ora sembrano pannelli senza forma, ma entro ottobre saranno la scuola elementare e media temporanea. Grigoli, il comandante dei Vigili urbani, padre di tre figli studenti dalla materna alle superiori, è soddisfatto: «È un bene per tutti vedere i lavori che avanzano, l’incertezza annienta». Attraverso Avvenire a maggio aveva lanciato un appello per la materna paritaria del Sacro Cuore, totalmente inagibile: «Federlegno lo ha raccolto e ad ottobre riaprirà i battenti». Qui a Finale l’organizzazione è, se possibile, ancora più articolata: «Il 17 le prime e le seconde elementari iniziano in miniappartamenti nell’hotel Esté - spiega Annamaria Luppi, vicepreside dell’istituto comprensivo statale di Finale e Massa Finalese, per un totale di 1.300 ragazzi – le terze nei salone dell’hotel, quarte e quinte a Massa. Le medie presso una tensostruttura presa in affitto dal Comune, in cui saremo molto bravi a tenere centinaia di ragazzini contemporaneamente, separati con divisori. Fino al 16 ottobre...». Quando, in questa organizzazione a orologeria, già si sa che saranno pronti i moduli prefabbricati. Il segreto ancora una volta è l’unione delle forze: «Siamo 130 docenti e facciamo le riunioni nel tendone del seminario. Lo scriva: grazie a don Roberto Montevecchi...».
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