C’è il rischio che la tratta passi attraverso la migrazione organizzata. «Ci sono organizzazioni criminali che sfruttano il sistema richiedenti asilo» sostiene Barbara Maculan, della cooperativa sociale Equality che da oltre 20 anni si occupa, attraverso l’associazione Mimosa, di donne vittime di tratta. Due le comunità che Mimosa mette a disposizione in Veneto, dove sono accolte anche mamme con bimbi, ritenute appunto a rischio. Mamme intercettate sulla strada, poco tempo dopo i loro sbarchi al sud e l’approdo al Nord.
«Il profilo classico è quello di una giovane donna nigeriana, figlia maggiore, di un nucleo familiare mono genitoriale, povero, con una bassa educazione o addirittura analfabeta – spiega Maculan –. Queste ragazze sentono sulle loro spalle la responsabilità della famiglia, la stessa che purtroppo spesso è complice anche inconsciamente del futuro sfruttamento. Esse vivono inoltre assoggettate a riti wodoo, riti magici di magia nera, che si compiono con i capi spirituali nelle comunità nigeriane. Sono riti ben accettati dalla comunità, di buon auspicio (quando si sposano, intraprendono gravidanza, un nuovo lavoro) ma questi stessi riti vengono anche usati per tenere la persona sotto pressione.
E spesso cadono quindi nella paura e nel terrore che viene loro inferto attraverso la convinzione che, se disattendono le aspettative dell’organizzazione, questo costerà a loro e alla loro famiglia forti ripercussioni». Equality attraverso il progetto Nave contatta all’anno più di 1.500 persone. Nel 2016 il numero verde 800290290 è stato attivo, nel solo Veneto, per 470 casi. «Purtroppo solo 78 donne hanno poi accettato di essere accompagnate verso il riscatto». Le giovani vengono trasportate in Italia da organizzazioni che le fanno passare per richiedenti asilo con il raggiungimento di documenti legali, ma in realtà destinate allo sfruttamento sessuale. «Un nuovo e pericoloso fenomeno da arginare fin dalla nascita» afferma Andrea Costa di Equality. «Grazie alle competenze, chi lavora e collabora con Equality capisce subito se tra coloro che arrivano in Italia vi sono soggetti a rischio e da qui si cerca di prevenire un loro possibile sfruttamento. Seguiamo programmi di accoglienza e integrazione, ma ci occupiamo in primis anche della salute delle nostre ragazze, della loro alfabetizzazione.
Le aiutiamo a costruire relazioni positive. Prestiamo attenzione a tutte le componenti di rischio legate alla gestione dello sfruttamento. Crediamo nell’accoglienza diffusa, specialmente nella micro accoglienza, perché lavorando con personale specializzato sui singoli, ovvero nella micro, si colgono i bisogni della persona, quelli specifici». Il nostro operato - sottolinea Maculan - è mirato innanzitutto a creare una relazione con le nostre ospiti che permetta, nel tempo, di capire come vivono il rapporto con la loro comunità di origine per comprendere cosa le ha spinte ad affidarsi a queste organizzazioni che le hanno portate in Italia. «Il più delle volte la risposta sta in un desiderio di uscire da una condizione di deprivazione, sia economica che affettiva».