Per capire sino in fondo il significato del voto svizzero che di fatto vieta la libera circolazione dei cittadini europei e mette un tetto ai nuovi ingressi (in particolare a quelli degli italiani non a caso raffigurati come topi che rubano il formaggio in alcuni manifesti politici) bisogna fare i conti con la crisi economica che sia pure in forma attenutata rispetto al resto del vecchio continente, ha colpito la Svizzera negli ultimi anni spingendo le aziende a "delocalizzare" non la propria sede ma i lavoratori, scegliendo quelli (ed è una pratica che avviene dappertutto) che costano meno semplicemente perché non vivono nei ricchi Cantoni ma nella vicinissima Italia.
La pattuglia dei frontalieri, lavoratori che ogni giorno si recano al lavoro in Svizzera ma risiedono in Lombardia o in Piemonte, cinque anni fa eramo composta da 35mila persone. Per la maggior parte operai, idraulici, elettricisti che accettavano salari più bassi rispetto ai colleghi svizzeri ma comunque decisamente più alti rispetto alla media italiana. "Manovalanza pendolare", disposta a fare sacrifici in termini di tempo pur di portare a casa uno stipendio dignitoso. Adesso questi lavoratori sono praticamente raddoppiati diventando un esercito, ingombrante per gli svizzeri, di 60mila persone, ma soprattutto colonizzando banche ed uffici. Accettano stipendi di 1500-1700 euro, al di sotto del sussidio per i disoccupati che in Svizzera è di 2mila euro.
Inevitabile a queste condizioni che al momento di assumere qualcuno il datore di lavoro scelga i più "economici" sia pure considerati meno affidabili italiani. Altra faccia della medaglia l'arrivo in massa di aziende in fuga dalla burocrazia e soprattutto dalle tasse italiane che si sono trasferite in Canton Ticino (almeno 130 negli ultimi quindici anni) portandosi dietro però tutto il loro team di lavoro. Zero nuova occupazione insomma, e tanto traffico in più. E la Svizzera verde si è ribellata.