venerdì 17 ottobre 2014
​Ha rassegnato le dimissioni dalla corte dell'Appello di Milano perché in dissenso con i colleghi sull'assoluzione dell'ex premier Silvio Berlusconi. Rese note ieri le motivazioni della sentenza.
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​Il presidente del collegio d'Appello che ha assolto Berlusconi nel cosiddetto processo Ruby, Enrico Tranfa, si è dimesso subito dopo aver firmato le motivazioni della sentenza. Lo ha fatto in dissenso con la sentenza presa a maggioranza con il sì degli altri due giudici. E così, dopo 39 anni di servizio, a 15 mesi dalla pensione, il magistrato ha lasciato anzitempo la toga. Tranfa, 70 anni, in magistratura dal 1975, dal 2012 fino a ieri ha presieduto la seconda sezione penale in Corte d'Appello a Milano. "Nessuno é indispensabile , tutti possono essere utili" ha spiegato oggi Tranfa. Andato di recente in pensione anche il suo collega Lapertosa, la sezione é senza presidenti. "In tutta la mia vita non ho fatto mai nulla d'impulso" ha detto ancora Tranfa parlando di una "scelta motivata". Le motivazioni della sentenza di assoluzione. È certo che Ruby si sia prostituita ad Arcore durante le serate in cui è andato in scena il "Bunga-Bunga" ed è certo che tra lei e il padrone di casa ci sono stati "atti di natura sessuale retribuiti". Non è provato, invece, che Silvio Berlusconi conoscesse la vera età della ragazza, ai tempi non ancora maggiorenne, così come non è provato che l'allora Presidente del Consiglio, "preoccupato" del rischio di "rivelazioni compromettenti" sui festini a luci rosse, quando telefonò alla Questura di Milano per ottenere il rilascio della giovane marocchina abbia minacciato o intimidito i funzionari di polizia che si occuparono del caso.    È questo, in sintesi, il quadro dipinto nelle motivazioni con cui i giudici della seconda Corte d'Appello, presieduta dal dimissionario Tranfa, lo scorso 18 luglio, hanno cancellato la condanna a sette anni di carcere inflitta in primo grado e assolto con formula piena il leader di Forza Italia, accusato di concussione per costrizione e prostituzione minorile. Nelle 330 pagine scritte dal giudice Concetta Locurto viene confermato il contesto in cui si svolgevano le feste a villa San Martino (tra le invitate per "otto volte in tutto" c'era anche Karima El Mahroug): non erano "cene eleganti", ma incontri di "attività prostitutiva".
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