Don Ciotti durante la Messa - A.M.M.
È «speranza» la parola che ascoltiamo di più tra i boschi d’Aspromonte, lungo il 'Sentiero della memoria'. Dopo la sosta per la pandemia e per le pessime condizioni del sentiero, si è tornato a camminare per ricordare le vittime innocenti della ’ndrangheta.
Lo si fa nel nome di Lollò Cartisano, fotografo di Bovalino, sequestrato il 22 luglio 1993 e mai più tornato a casa. Il suo corpo venne fatto ritrovare dieci anni dopo, grazie alla lettera anonima di uno dei sequestratori, vicino a Pietra Cappa, uno splendido enorme monolite, che si innalza dai boschi sopra San Luca. Qui una piccola croce lo ricorda e qui è ritornata finalmente la marcia. Sorride Deborah, figlia di Lollò, accogliendo i marciatori, i familiari delle vittime, tanti giovani, quattro sindaci (non si era mai visto), il prefetto di Reggio Calabria (anche questa una novità), don Luigi Ciotti. Ma avverte: «Non è vero che la ’ndrangheta non uccide più. Uccide ancora ma in modo diverso. Ma noi alla ’ndrangheta continuiamo a dire di no».
«Questi volti, questi nomi li dobbiamo ricordare – dice il prefetto Massimo Mariani – perché indicano una scelta di vita, mentre le mafie sono la negazione della vita. Oggi piantiamo un seme che darà ottimi frutti». E di «marcia di speranza», parla il sindaco di San Luca, Bruno Bartolo e di «gesti di speranza» come la presenza dei sindaci (Locri, Platì, Samo) e la sistemazione del sentiero, realizzata dal comune.
Il ricordo di Lollò, vittima della'ndrangheta - A.M.M.
«Mimma – ricorda –, la moglie di Lollò, da anni non poteva raggiungere il luogo dove venne ritrovato il corpo del marito, ma lei ha diritto a visitare quel luogo che le appartiene». Così come il sentiero appartiene alle vittime innocenti, una lunga 'via crucis'. In ogni 'stazione' ci si ferma e i familiari raccontano. Liliana Carbone viene da tanti anni per ricordare il figlio Massimiliano, ucciso a Locri il 17 settembre 2004. Un delitto senza giustizia. «Non abbiamo il diritto ma il dovere di chiedere verità, perché è un dono per la comunità che è stata ferita». Franco Polito, è la prima volta che viene e anche per lui manca la verità. La moglie Raffaella, 39 anni, il 13 luglio 1990 ad Ardore venne aggredita violentemente nel tentativo di sequestro. Morì il 31 luglio. «Eravamo una famiglia felice », conclude commosso. Anche Letizia, 16 anni, è la prima volta che partecipa alla marcia. È con lo zio Vincenzo. La mamma, Maria Chindamo, 42 anni, è scomparsa a Limbadi il 6 maggio 2016. La ragazza stupisce tutti con le sue parole. «Mi dicono 'perché sorridi sempre?'. Io rispondo che sorrido perché voglio far vivere il cuore di mamma».
Parole intense, come quelle del presidente di Libera, don Luigi Ciotti nel corso della Messa. «Non si può consentire che ci siano delle vite che offendono la vita degli altri». Poi avverte, «non dobbiamo diventare complici, perché l’omertà uccide verità e giustizia». E ricorda come «l’80% dei familiari delle vittime non conosce la verità». E allora, insiste, «da questo monte dobbiamo alzare la voce, c’è chi sa, c’è chi ha visto». Ma, accusa, «vedo tanta voglia di normalizzazione, anche sul tema delle mafie». E, invece, «queste storie mordono le nostre coscienze, ci chiedono di fare di più». Soprattutto oggi che «i mafiosi si muovono meno con le armi e più coi soldi ». E conclude con uno struggente invito. «Qui da Pietra Cappa affidiamo le nostre speranze al Signore e questa sera guardiamo il cielo: le stelle portano il nome dei vostri cari che da lassù ci chiedono di salire sulle barricate per lottare per la vita, la libertà, la giustizia».