lunedì 3 settembre 2012
Il tecnico osò denunciare i clan dell’etere. Da anni subisce minacce e intimidazioni. Perseguitato fin dal 2008, costretto a fuggire Poi ha ritrovato il coraggio di rivolgersi alle istituzioni. Parla Antonio Perugino: «Le infiltrazioni delle cosche ci sono ancora, ma non torno indietro. Per questo ci prepariamo a cambiare casa per la quarta volta».
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​Antonio Perugino rompe il silenzio. Dopo anni di intimidazioni, aggressioni, minacce alla famiglia, il tecnico che rivelò la mappa di "telecamorra", ricostruisce i suoi anni in balia dei boss. Gli uomini che lo hanno perseguitato fin dal 2008, costringendolo a perdere il lavoro e a ritrattare le accuse poi coraggiosamente confermate in tribunale, sono stati condannati ma restano indisturbati alla guida dei loro controversi affari. E lo minacciano ancora.«Perché continuate a fare queste denunce?», la domanda gli venne sputata in faccia dall’urlo di Nicola Turco, impresario televisivo e manager di musicisti "neomelodici". Era il 6 giugno 2008. Perugino aveva appena depositato negli uffici di Napoli del ministero delle Telecomunicazioni il rapporto con il quale erano indicate tutte le irregolarità nell’utilizzo delle frequenze, compreso l’elenco delle emittenti abusive e di quelle che appositamente interferivano sui canali che avevano ottenuto una licenza legale allo scopo di imporre agli impresari un’estorsione sotto forma di "rimborso" per liberare la frequenza occupata.Per le minacce ad Antonio Perugino verranno giudicati due nomi noti dell’emittenza vesuviana: il pregiudicato Nicola Turco e Giuseppe Minervini, in primo grado condannati a tre anni di reclusione.Per la prima volta, Perugino decide di uscire allo scoperto e raccontare a un giornale l’incubo di cui vorrebbe che la sua famiglia si liberasse per sempre. Nelle minacce subite, infatti, c’era qualcosa di sinistro. Più delle stesse aggressioni. Il tecnico in forza a "Julie tv" si aspettava sì una qualche reazione. Quella stessa mattina, infatti, era stata pubblicata sul settimanale "Left" un’inchiesta firmata da Alessandro De Pascale, basata proprio sui dati raccolti da Perugino. Vedendosi piombare addosso uno come Nicola Turco, Perugino pensò a una sfuriata provocata dalla lettura del periodico. Invece gli venne messa sotto il naso la copia della denuncia, con tanto di numero di protocollo, che solo dodici ore prima il tecnico aveva depositato all’Ispettorato delle Telecomunicazioni. Fu la conferma che tra i pubblici ufficiali c’era almeno una talpa. Qualcuno che in tempo reale avvertì "gli amici degli amici". Nonostante indagini che a vario titolo hanno coinvolto sette funzionari ministeriali per non aver fatto osservare le norme sull’emittenza, non è ancora stato individuato il responsabile delle ripetute fughe di notizie.Sulle prime Turco proverà a corrompere Perugino. «Perché non molli Julie?», la tv per la quale il tecnico è poi tornato a lavorare e il cui patron, l’avvocato Lucio Varriale, è una fabbrica di denunce. La prospettiva è interessante: «Io – gli propone Turco stavolta con tono affabile – ti do un bello stipendio e tu così stai a casa senza fare niente»: mille euro al mese, tremila in meno del suo reddito mensile. Perugino scuote il capo. «Ma dai Antonio, tu hai i figli, passa con me». Il tono non è più quello di una proposta di lavoro, quel «tu hai figli» evoca la peggiore delle minacce.Poco dopo toccherà a Varriale ricevere visite. Due sconosciuti lo avvicinano in moto: «Abbiamo sistemato a Perugino, adesso stai attento tu». E Antonio Perugino, infatti, decide di mollare. Non andrà a lavorare da Turco, ma lascerà il suo impiego a "Julie tv", cambierà casa, si renderà irreperibile. Gli amici e il suo datore di lavoro dovranno fare i salti mortali per rintracciarlo. Un uomo in fuga per salvare la sua famiglia. «Ho quattro figli – dirà ad alcuni colleghi dell’emittente campana – voglio vederli crescere». L’unico modo, riassumerà il giudice Alberto Capuano nella sentenza di condanna, per non redigere più «le schede sulle irradiazioni abusive».Una sparizione durata poco. Grazie anche al sostegno della moglie Antonio Perugino ha ritrovato il coraggio di denunciare. Così è tornato al suo posto di lavoro, ma già per tre volte ha dovuto cambiare casa e città. I magistrati di Napoli stanno indagando su nuovi filoni delle infiltrazioni camorristiche nell’emittenza privata regionale. «Le minacce – racconta Perugino – magari più velate, attraverso voci riportate da "amici", perfino via Facebook, non si sono mai interrotte». E adesso che ha accettato di parlare con Avvenire? «L’ho fatto perché la mia storia deve essere conosciuta, perché "telecamorra" non è mai finita, soprattutto perché si sappia che non tornerò indietro». Sa già che non la prenderanno bene. «Perciò ci prepariamo a cambiare casa per la quarta volta».
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