sabato 6 luglio 2024
Il presidente dell'Istituto nazionale di statistica: «La nostra economia ha un grande potenziale, ma è fragile. Molti i divari da affrontare. Le sfide? Demografia, debito e povertà, anche educativa»
Il presidente dell'Istat, Francesco Maria Chelli

Il presidente dell'Istat, Francesco Maria Chelli

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Un Paese forte, eppure fragile, capace di veleggiare tra i grandi, ma consapevole dei suoi tanti e antichi divari, una società solidale nelle fondamenta, ma in perenne ricerca di equilibrio e coesione. Ecco l’Italia. Un Paese nel quale la parola chiave per interpretarne le sfide potrebbe essere “inclusione”. A parlarne con Avvenire è Francesco Maria Chelli, 65 anni, docente di Statistica economica all’Università Politecnica delle Marche, ma soprattutto presidente dell’Istat dallo scorso maggio.

L’occasione è stimolante: da poche ore si è conclusa, a Roma, la Conferenza nazionale di Statistica, in un parallelo ideale con l’evento triestino della 50esima edizione delle Settimane sociali dei cattolici, dove il tema della polarizzazione e della fragilità delle comunità, posto dal presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, offre l’occasione per una lettura della realtà attraverso le cifre. Tre numeri, a volte, possono bastare. Da cosa partire? Il professor Chelli non ha esitazioni: «Il primo numero è 7 milioni e 766mila: sono i nostri bambini e i ragazzi fino ai 15 anni di età, il 13,2% della popolazione totale, quasi un milione in meno rispetto al 2004». Natalità e demografia, insomma. Poi? «Il secondo numero è 2 milioni e 235mila: le famiglie afflitte dalla povertà assoluta, l’8,5% del totale, soprattutto famiglie con un’età media più giovane, una cifra purtroppo cresciuta di oltre due punti negli ultimi dieci anni». La povertà che avanza, e non da ora. Terzo numero: +0,9%. «È la crescita messa a segno dalla nostra economia nell’ultimo anno, più alta di quella dell’euroarea».

Eccolo, il punto di appoggio. «Grazie a questa ripresa recente – spiega Chelli – il Pil, in termini reali, è tornato al livello del 2007: dal 2000 abbiamo accumulato un divario di crescita di oltre 20 punti con Francia e Germania e di oltre 30 con la Spagna». È un ottimismo temperato, il presidente dell’Istituto di Statistica chiede un supplemento: «Per interpretare la condizione del nostro Paese serve un quarto numero, quello del debito pubblico: 137,3% sul Pil. Tutte le grandi economie dell’Ue sono sopra la soglia del 60% stabilita dai criteri di Maastricht: la Germania è al 63,6%, la Spagna al 107,7%, la Francia 110,6%. L’Italia, purtroppo, è ben oltre il doppio di quella soglia...».

Forza e fragilità, insomma, per uno stato di salute che lo sguardo dell’economista e dello statistico aiuta a leggere in profondità consegnando alla politica il compito del passo successivo. Il modo in cui l’Italia ha superato la crisi sanitaria e gli ultimi due anni di alta inflazione sono la dimostrazione di una certezza: «L’economia italiana ha un potenziale significativo che va sostenuto e sul quale bisogna continuare a investire sapendo che siamo un Paese manifatturiero molto forte, ma anche molto fragile. Il fatto è che le tensioni geopolitiche e un rallentamento della crescita globale possono frenare bruscamente la nostra economia».

Un esempio: «L’anno scorso la recessione in Germania, il nostro principale partner commerciale, ha pesato molto sulla crescita italiana. Basti pensare che la minore domanda dei beni italiani da parte della sola Germania, come ha stimato il nostro Rapporto di primavera sulla competitività dei settori produttivi in una simulazione realizzata con il modello macroeconometrico dell’Istat, avrebbe determinato nel 2023 una diminuzione nella crescita del Pil di due decimi, soprattutto per la riduzione di un punto percentuale delle esportazioni».

C’è sempre un’altra faccia della medaglia nella lettura delle cifre fondamentali del nostro Paese, quasi una tensione sottintesa, strutturale. Pensiamo al lavoro, e alle sue tante contraddizioni: oggi va meglio, ma… «Gli ultimi dati sulle forze di lavoro relativi a maggio – spiega Chelli – mese che ha segnato un lieve rallentamento dopo la continua e vivace crescita registrata per tutto il 2023 e da inizio anno, dicono che il numero degli occupati è pari a 23 milioni e 954mila, superiore di ben 462mila unità rispetto a maggio 2023. Eppure questa crescita non ha ridotto i nostri ritardi: i tassi di occupazione femminile e giovanile sono ancora troppo distanti della media europea».

C’è la bella novità del Sud, però: «L’anno scorso il Pil del Mezzogiorno è aumentato in volume dell’1,3%, contro l’1% nel Nord-ovest, lo 0,8% del Nord-Est (+0,8%) e lo 0,5% del Centro, e anche in termini occupazionali il Mezzogiorno è stata l’area che ha dato il contributo maggiore alla crescita, con un incremento degli occupati che ha raggiunto il 2,5%, contro il +1,8% della media nazionale».

Alzando lo sguardo sul Paese, o ampliandone la portata, emerge, ingombrante, la questione demografica. Non è un’emergenza, avverte Chelli, ma «una tendenza storica»: oggi le persone con più di 65 anni sono quasi un quarto dei residenti e circa il doppio di bambini e ragazzi sotto i 15 anni, nel 2050 gli over-65 saranno tre volte più numerose degli under-15. «Abbiamo due sfide da affrontare, suggerisce il presidente dell’Istat -. Aiutare le giovani coppie ad avere i figli che desiderano e gestire al meglio le migrazioni, che in questi anni hanno contribuito alla crescita della popolazione in età attiva. Ma in particolare dobbiamo rendere ancora più inclusivo e partecipativo il nostro mercato del lavoro e rafforzare il welfare per la cura degli anziani».

In un contesto di conti pubblici che complica l’opera di costruzione in chiave-futuro, il Piano di ripresa e resilienza è allora un patrimonio da gestire con cura eccezionale, «una grandissima occasione», la cui efficacia resta subordinata: «Se vogliamo rafforzare il grande potenziale su cui il nostro Paese può contare non dobbiamo disperdere una sola di queste risorse». Il presidente dell’Istat ci tiene a ricordare quanto sia delicata la sfida: «La spesa per progetti del Pnrr è arrivata finora a 49,5 miliardi, in buona parte a crediti di imposta automatici e bonus edilizi, mentre gli investimenti pubblici veri e propri sono appena sopra i 20 miliardi».

C’è una parola, su tutte, che spalanca orizzonti quanto è capace di sollevare ansie e preoccupazioni, delineando scenari di scontro, prefigurando polarizzazioni e sfilacciamento: Autonomia differenziata. Cosa ne pensa Chelli? «Il contributo della statistica ufficiale è di fornire al decisore pubblico quadri informativi sempre più precisi sulla situazione del Paese. Lo facciamo con le nostre produzioni e, quando chiamati, rispondendo alle richieste del legislatore nelle audizioni parlamentari. Ora, a fine giugno abbiamo avuto un’audizione proprio sulle prospettive del federalismo fiscale, dove abbiamo messo in luce, fra l’altro, come i divari territoriali siano aumentati negli ultimi quindi anni, e non mi riferisco solo al Pil-pro capite. La riforma per l’Autonomia differenziata, che entrerà ora nella difficile fase attuativa con la definizione dei Livelli essenziali di prestazione, dovrà affrontare complessità che nel tempo, purtroppo, sono cresciute».

Cristian Gennari

Sullo sfondo, una questione sociale che supera i divari tradizionali, cioè quelli tra Nord e Sud, tra centri e periferie, grandi città e aree interne, una povertà oltre la povertà, e l’Istituto di statistica ha deciso di farsene carico. L’annuncio proprio in questi giorni: «Nella nostra quindicesima Conferenza di statistica – fa sapere Chelli – abbiamo presentato i primi risultati di un lavoro seminale avviato dall’Istat con Commissione scientifica inter-istituzionale: cercare di definire e misurare la povertà educativa. È una dimensione della povertà complessa, molto eterogenea sul territorio, che riguarda i giovani ma anche gli adulti e che ha molto a che fare con le fragilità di cui ha parlato il presidente della Cei, Matteo Zuppi, alle Settimane sociali».

Dati raccolti in tempo reale, affidabili, dettagliati. Il compito della statistica è proprio questo, al servizio della politica. A detta di Chelli la prova della pandemia è stata grande per l’Istat: «Siamo riusciti a dare una risposta informativa in un quadro di emergenza senza precedenti, un’esperienza di produzione importante di cui abbiamo fatto tesoro in termini di capacità di risposta. Dati affidabili, dettagliati e tempestivi sono dovuti, e la statistica ufficiale continuerà a produrli. Ma c’è una nuova opportunità, cui ora guardiamo, noi in Istat insieme a tutto il Sistema statistico nazionale». Quale, presidente? «Quello dell’Intelligenza Artificiale. Siamo su una nuova frontiera tecnologica, che interesserà inevitabilmente l’intero ciclo di attività: dalla raccolta ed elaborazione dei dati agli sviluppi metodologici, dalle tecniche di indagine agli standard di classificazione, dalla diffusione dei risultati, all’accesso ai dati e all’uso delle statistiche».

Nell’attesa di conoscerne gli sviluppi, il nuovo sito web dell’Istat, progettato come un giornale online, è un piccolo test: «Abbiamo voluto porre al centro le esigenze dei diversi utenti, è totalmente accessibile proprio grazie all’introduzione di un motore di ricerca semantico, pronto alle applicazioni di Intelligenza Artificiale, il cui rilascio è previsto entro l’anno».

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