sabato 7 ottobre 2023
Da inizio anno ci sono stati 52 sbarchi con 5.407 migranti. Il mistero dei barchini e la nave madre dei trafficanti
Alcuni migranti appena sbarcati

Alcuni migranti appena sbarcati - ANSA

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Torna ad affollarsi la rotta turca che porta gli immigrati sulle coste calabresi. In particolare a Roccella Jonica e nella Locride dove nei primi quattro giorni di ottobre sono arrivate cinque barche con quasi 300 persone. Dall’inizio dell’anno gli sbarchi sulle coste reggine sono stati 52 con 5.407 persone. Ai quali se ne sono aggiunti 24 con 10.961 persone provenienti dall’hotspot di Lampedusa o salvati direttamente nel mare siciliano dalle navi della Guardia costiera. E alcune centinaia sono finiti proprio a Roccella Jonica. Altri 23 sbarchi a Crotone con più di 2.600 immigrati (la strage di Cutro non li ha fermati). E sempre provenienti dalla Turchia sono sbarcati in Puglia 600 immigrati su 6 barche. Con una forte ripresa tra settembre e ottobre. Molto probabilmente perché si sono bloccati gli arrivi dei grossi pescherecci dalla Cirenaica le cui coste sono state devastate dall’alluvione di circa in mese fa.


Così i trafficanti sono ripiegati sulla Turchia. Le nazionalità sono sempre le stesse: Afghanistan, Iran, Iraq, Siria, Curdi, Egitto. Tante famiglie, tantissimi minori non accompagnati, con grossi problemi di accoglienza per questi ultimi. Solo a Roccella ne sono arrivati 466, dei quali 150 da Lampedusa. Ottanta di loro sono da quasi un mese nella tensostruttura nel porto. Si parte anche col mare grosso, viaggi di 7-8 giorni invece dei soliti 4-5, e i soccorsi della Guardia costiera si sono fatti più lunghi e complessi. Con una preoccupante novità. Dei cinque sbarchi di ottobre, due sono stati totalmente autonomi e addirittura gli immigrati sono stati trovati a terra, a Bianco e Stignano. Non le solite barche a vela ma barchini. Torna dunque il sospetto dell’utilizzo di navi madre, dalle quali partono barche più piccole verso zone meno controllate. E anche le barche a vela sono più piccole e meno cariche. Roccella Jonica, grazie al sistema messo in piedi dalla prefettura di Reggio Calabria, regge al forte impegno. Malgrado ancora non abbia una struttura definitiva di accoglienza. Nel porto c’è la tensostruttura gestita dalla Croce rossa che è stata raddoppiata, può ora ospitare 250 persone, con bagni e docce adeguate. Ma è sempre una soluzione d’emergenza. Inoltre funziona la rete dei Comuni che accolgono: Ardore, Brancaleone, Portigliola, Siderno, Stilo. Ma si tratta di strutture comunali non destinate agli immigrati. «Progressi sono stati fatti ma ancora oggi non esiste una normativa che regoli i punti di primo soccorso come siamo noi» denuncia il sindaco di Roccella Jonica, Vittorio Zito. «L’Italia - aggiunge – non ha un problema di accoglienza ma di primo soccorso, mancano strutture in grado di ospitare anche più di mille persone, dove è tutto organizzato. Con controlli medici, il punto di fotosegnalazione, il punto mensa e il cambio vestiti». Ora, invece, è tutto improvvisato. Così, «ad esempio allo sbarco viene fornito un kit per il cambio dei vestiti, uno solo, perché la logica è che poi devono andare nei centri di prima accoglienza, ma se ci vanno dopo otto giorni è evidente che uno solo non basta, ma un secondo non si può fornire». La soluzione, accusa il sindaco, «non sono i Cpr, una scelta totalmente sbagliata che non risolve il problema. Il governo in pochi mesi ha fatto ben tre decreti legge sugli sbarchi, segno che non ha la bussola».


Intanto il piccolo Comune calabrese si deve far carico anche di chi è sbarcato a Lampedusa. «Se continueranno a mandarceli non ce la faremo, soprattutto ora che gli sbarchi da noi sono aumentati, come accade sempre a ottobre, mese meteorologicamente favorevole». Ma il sindaco è particolarmente preoccupato per i minori non accompagnati. «Non abbiamo strutture, tutto finisce sulle spalle del Comune. Pensi che attualmente ne abbiamo 80 ospitati nella struttura nel porto, a fianco degli adulti, 72 vengono da Lampedusa e sono qui dal 17 settembre. Abbandonati, senza fare niente».
Altro problema è che «nessuno degli immigrati che vengono dalla Turchia fa domanda d’asilo. Ormai sono mesi che accade questo. Non lo fanno per evitare le regole di Dublino, perché non si vogliono fermare in Italia ma raggiunge altri Paesi europei. Ma in questo modo, dopo i provvedimenti del governo corrono il rischio di finire nei Cpr». Intanto, per fortuna, Roccella continua a reagire bene. «Il sabato sera i giovani immigrati escono dal porto e vengono in piazza, come i nostri ragazzi. Poi tornano nella tensostruttura, senza alcun problema». E dove Roccella e gli altri Comuni non ce la fanno arriva l’aiuto della Caritas. «Ad Ardore gli immigrati, anche minori, sono ospitati in una palestra – ci dice la direttrice Carmen Bagalà -. Noi ci occupiamo dell’accoglienza, dell’assistenza sanitaria, e delle loro necessità. Soprattutto seguiamo donne e i minori». Alcuni soggetti vulnerabili, malati, donne incinte, sono stati ospitati nel centro Caritas di Locri. Ma tutto è a rischio. E si guarda ai prossimi mesi. «Gli immigrati ci raccontano che in Turchia ci sono migliaia di persone pronte a partire».

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