sabato 7 ottobre 2023
Nella Giornata nazionale delle persone con Trisomia 21 le associazioni lanciano una campagna contro “le scuse ridicole” anti-inclusione. I genitori: gli ostacoli sono frutto di ipocrisie mascherate
Uno degli scatti della campagna di Coordown lanciata in occasione della Giornata dell'8 ottobre

Uno degli scatti della campagna di Coordown lanciata in occasione della Giornata dell'8 ottobre - Coordown

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«Purtroppo non possiamo prendere sua figlia nella nostra scuola: ne abbiamo già una così». «Suo figlio non può venire in gita: non siamo preparati». «Mi spiace, non puoi partecipare alla riunione. Abbiamo finito le sedie». Sono alcune delle frasi scelte per le immagini della campagna “Scuse ridicole per non essere inclusivi” (QUI IL VIDEO), lanciata da CoorDown (Coordinamento nazionale associazioni delle persone con sindrome di Down) in occasione della Giornata nazionale delle persone con trisomia 21 in programma la seconda domenica d’ottobre. In 200 piazze italiane viene promosso da famiglie e volontari delle associazioni aderenti «il diritto alla piena partecipazione alla vita sociale e all’inclusione delle persone con disabilità intellettiva, ancora lontani dall’essere garantiti nel nostro Paese. Troppe ipocrisie mascherate da buone intenzioni sono alla base degli ostacoli materiali e delle fatiche emotive che quotidianamente devono affrontare le persone con sindrome di Down e le loro famiglie» osserva Antonella Falugiani, dal 2017 presidente del Coordinamento costituito ben 20 anni fa.

L'immagine della campagna #chiamacipernome scelta dall'Aipd

L'immagine della campagna #chiamacipernome scelta dall'Aipd - Aipd

«CoorDown e le associazioni sui territori combattono ogni giorno per costruire opportunità, aprire spazi e dare risposte concrete alla richiesta di inclusione che nessuna “scusa ridicola” può fermare. Le persone con sindrome di Down affrontano ogni giorno episodi di discriminazione e devono lottare ogni giorno per ottenere un posto a scuola, nello sport, nei campi estivi, nel mondo del lavoro e nella vita sociale, nonostante le conquiste ottenute e l’impegno per vedere riconosciuti i propri diritti» denuncia Falugiani, madre di due ragazzi, la secondogenita con sindrome di Down. Che è «una condizione genetica, non ereditaria, caratterizzata dalla presenza nelle cellule di chi ne è portatore di 47 cromosomi anziché 46. Nella 21esima coppia c’è infatti un cromosoma in più ed è per questo che è anche chiamata Trisomia 21. La sindrome di Down è oggi la più frequente causa di disabilità intellettiva: in Italia circa un bambino su mille nasce con questa condizione. Oggi sono 38mila le persone stimate nel nostro Paese, di cui 23mila già adulte. Se messe nelle migliori condizioni, la maggior parte di queste persone può raggiungere un buon livello di autonomia personale e dare un contributo attivo alla società».

In questi giorni è stata lanciata anche la campagna social progettata da Aipd (Associazione italiana persone Down) con sei volti nei panni della loro passione, perché «ogni nome conta e racconta la sua storia». Come quello di Irene, 27 anni: in passato ha lavorato come barista e cameriera, ora è in cerca di un lavoro più stabile; appassionata di danza e teatro, vuole essere riconosciuta e apprezzata per tutto ciò che ha imparato e che può ancora realizzare. Poi c’è Barbara, 54 anni, campionessa italiana Special Olympics di equitazione che ha dovuto fermarsi a causa di un brutto infortunio e di recente ha firmato un contratto di tirocinio come cameriera di sala in un ristorante di Pisa per rendersi indipendente. «L’obiettivo è far andare lo sguardo oltre ciò che appare: oltre la sindrome di Down, trovare la persona con i suoi hobby, le sue passioni, i suoi talenti. Non pazienti né utenti, ma innanzitutto uomini e donne» sottolinea Gianfranco Salbini, presidente di Aipd Nazionale. Per far crescere e diffondere «una cultura in cui l’attenzione si sposta da aspetti patologici e carenze a potenzialità e inclinazioni personali».

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