(Ansa)
Cinque milioni di immigrati regolari che creano posti di lavoro, producono quasi il 9% del Pil, versano alla previdenza 11,9 miliardi di euro l’anno. Ma a monopolizzare il dibattito sono 150mila richiedenti asilo, e non l’emergenza demografica italiana. Sono le conclusioni fondate su dati e fatti - cui giunge la Fondazione Leone Moressa nel rapporto 2018 sull’economia dell’immigrazione - 'Prospettive di integrazione in un’Italia che invecchia' - presentato ieri a Palazzo Chigi. Per un’immigrazione gestibile e ordinata, dunque, servono canali legali che permettano anche l’arrivo in Italia di lavoratori più qualificati: oggi le uniche vie di accesso regolare sono i ricongiungimenti familiari e il 'terno al lotto' della richiesta d’asilo.
Alla presentazione del dossier a Palazzo Chigi interviene anche Federico Soda, direttore dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni per Roma e il Mediterraneo: «Per combattere gli scafisti e trasformare una massa di migranti irregolari in immigrazione ordinata servono canali legali, regolari, programmati». Luigi Vignali, direttore generale per gli Italiani all’Estero e le politiche migratorie del ministero degli Esteri, ricorda che la cooperazione allo sviluppo più importante è quella finanziata dagli stessi emigrati: «Dall’Italia partono 5 miliardi l’anno di rimesse verso i paesi poveri, mentre l’Aiuto pubblico allo sviluppo è pari a 4 miliardi». Non solo: «Le rimesse da tutta Europa arrivano a 66 miliardi, quando l’Unione ne ha stanziato per un piano di investimenti in Africa solo 4».
Il rapporto della Fondazione Moressa segnala dunque che se nel 2011 gli occupati stranieri erano pari al 9% della popolazione, nel 2017 hanno raggiunto quota 10,5%. Questi milioni di occupati producono un valore aggiunto pari a 131 miliardi (l’ 8,7% del valore aggiunto nazionale).
Posti di lavoro rubati agli italiani? Niente affatto. Si tratta di occupazione «complementare»: la maggior parte degli stranieri svolge infatti lavori poco qualificati. La Fondazione Moressa segnala però che «non è da sottovalutare l’apporto degli imprenditori stranieri, il 9,2% del totale imprenditori», dato in crescita negli ultimi cinque anni del 16,3% in controtendenza con la diminuzione degli italiani (-6,4). «Sempre crescente» è poi il numero di italiani che stanno lasciando il nostro Paese: dal 2011 al 2017, il saldo migratorio è stato negativo e pari a – 391 mila. Oltre 5 milioni gli italiani iscritti all’Aire. Positivi gli effetti per l’Italia anche per l’impatto fiscale: gli stranieri dichiarano 27,2 miliardi di euro (dato stimato) e ne versano 3,3 di Irpef. Il loro contributo previdenziale poi è pari a 11,9 miliardi di euro, preziosi per il nostro sistema di protezione sociale, che così riesce a pagare oltre 600 mila pensioni, soprattutto a italiani. Redditi ed imposte sono naturalmente inferiori alla media italiana, perché da lavori poco qualificati. Tra gli italiani gli occupati in professioni qualificate e tecniche sono infatti il 38% contro un 7% di stranieri. Il personale non qualificato tra gli italiani è l’8%, tra gli stranieri il 34%.
Il dossier lancia l’allarme sulle previsioni demografiche per l’Italia, che «non sono positive». Nel 2050, la popolazione anziana in Italia crescerà del 47% e la popolazione in età lavorativa diminuirà del 18% rispetto ad oggi. Il Paese attraverserà quindi «un inverno demografico», e gli stranieri regolari presenti nel Paese «hanno solamente rallentato questo processo » di invecchiamento e hanno contribuito ad aumentare il numero degli occupati, ma «per far crescere l’Italia è necessario attrarre immigrazione più qualificata, oppure aumentare la mobilità sociale degli immigrati presenti già sul territorio».
Fondazione Moressa segnala poi che l’immigrazione «dal 1998 è stata il solo fattore di crescita della popolazione italiana». Dal 2011 al 2017, nel paese la popolazione straniera è cresciuta di 1,1 milioni senza contare le oltre 800mila naturalizzazioni. Rispetto agli italiani, gli stranieri sono più giovani, il loro saldo naturale è positivo, e incidono sulla spesa pubblica solo con il 2,1%, pari a 4 miliardi. Massimiliano Valeri, direttore del Censis, cita numeri inequivocabili: «I 450mila nati del 2015 sono stati il numero più basso dal 1861 a oggi, nonostante l’aumento degli abitanti e i progressi della medicina. Non solo: nel 1951 gli ultraottantenni erano 622 mila, nel 2012 erano 4 milioni; gli ultracentenari erano 165, oggi sono 20mila». Non c’è dubbio: «La questione demografica è una bomba che la politica non affronta».