Tutti colpevoli. Per la strage del 6 dicembre 2007 alla ThyssenKrupp di Torino che costò la vita a 7 operai, la corte d’Assise di Torino non ha fatto sconti e condannato tutti gli imputati – i vertici tedeschi e italiani del colosso dell’acciaio – a pene molto pesanti. La più dura per l’amministratore delegato Harald Espenhahn: 16 anni e mezzo. I giudici lo hanno riconosciuto colpevole – ed è la prima volta nella storia delle vittime del lavoro in Italia – di omicidio volontario con dolo eventuale. In altre parole per i magistrati, Giuseppe De Masi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola morirono perché nonostante l’ad del colosso di Essen, fosse al corrente del rischio che correvano coloro che lavoravano su quella pericolosa linea di produzione, scelse di non metterla in sicurezza perché destinata a essere smantellata. Gli altri cinque dirigenti della Thyssenkrupp sono stati condannati per cooperazione in omicidio colposo. Tredici anni e mezzo sono stati inflitti a Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri; a dieci anni e dieci mesi di reclusione è stato condannato Daniele Moroni. I parenti delle vittime hanno accolto la sentenza con un applauso e grida di approvazione. Soddisfatto il commento del pm,
Raffaele Guariniello: «È una svolta epocale. Una condanna non è mai una vittoria o una festa. Però questa condanna può significare molto per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro». La tragedia avvenne quasi tre anni e mezzo fa nella notte del 6 dicembre 2007, quando si verificò l’incendio alla linea 5 dello stabilimento di corso Regina Margherita. Una vampata di fuoco che investì gli operai, uccidendo immediatamente Antonio Schiavone e nei giorni successivi gli altri sei. Il processo si era aperto il 15 gennaio 2009 per snodarsi per 94 difficili, tese e commoventi udienze nel corso delle quali il fatto è stato analizzato dai tre pubblici ministeri, Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso. L’accusa aveva chiesto le pesanti condanne proprio in considerazione della particolare gravità dei fatti. «Se non si ravvisa il dolo eventuale in un caso del genere – hanno sostenuto i pm – allora questo tipo di reato non esiste». Per i colleghi degli operai che si salvarono lo choc fu devastante: allucinazioni, attacchi di panico, insonnia, crisi provocate da semplici odori di cucina in grado di ricordare le carni bruciate. Si tratta, come ha spiegato una consulenza medica, di disturbi post-traumatici da stress. Per la difesa, invece, si è sempre trattato di «un processo politico». In particolare, l’avvocato
Franco Coppi ha sempre cercato di smontare l’accusa di omicidio volontario nei confronti di Espenhahn. «Difendiamo – aveva esordito – una causa impopolare. Ma è impensabile credere che l’amministratore delegato abbia accettato volontariamente, solo per risparmiare sugli investimenti, un evento con delle morti, come se fosse un bandito in fuga che spara sulla folla». Ieri, in un suo comunicato, la ThyssenKrupp definiva la sentenza «incomprensibile e inspiegabile». Di segno radicalmente opposto altri commenti, a partire da quello di
Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto alla strage e oggi parlamentare del Pd: «Chi ha sbagliato ha pagato – ha detto – Dedico questa sentenza a tutti i morti di quella notte». Per il ministro del Lavoro,
Maurizio Sacconi, «la sentenza ha accolto il solido impianto accusatorio e costituisce un rilevante precedente». Secondo il sindaco di Torino Sergio Chiamparino la decisione dei giudici «è commisurata alla gravità del fatto». Di altro avviso
Leopoldo Di Girolamo, sindaco di Terni, città nella quale c’è la principale sede italiana della ThyssenKrupp: «Credo che la sentenza sia punitiva nei confronti dell’azienda e dei lavoratori che ora si troveranno in difficoltà». Gli ex operai della Thyssenkrupp che si sono costituiti parti civili al processo chiedono che gli enti locali - Regione, Provincia e Comune di Torino - investano i soldi dei risarcimenti (2, 4 milioni di euro in totale) stabiliti dalla sentenza della Corte d'Assise in ricollocazione e creazione di nuovi posti di lavoro per i 12 ex operai rimasti disoccupati. «Tra i lavoratori costituiti parte civile - spiega
Ciro Argentino, ex dipendente della multinazionale dell'acciaio - nel processo 12 sono ancora in attesa di un lavoro sicuro e dignitoso, come stabilito da un accordo siglato da azienda ed enti locali dopo la chiusura dello stabilimento che prevede la ricollocazione per tutti i lavoratori. Gli enti locali, come le imprese, hanno i mezzi e le risorse necessarie per: intensificare i controlli ispettivi all'interno di tutti i luoghi di lavoro; creare nuovi posti di lavoro per gli operai ThyssenKrupp discriminati e per tutti quei lavoratori che hanno dovuto subire gravi infortuni sul lavoro o la chiusura di aziende dovute ad incidenti gravi . È solo una questione di volontà politica: come già avvenuto per altri nostri ex colleghi, nessuno di questi costituito parte civile nel processo, ricollocati nelle aziende municipalizzate, in particolare Smat e Amiat».