Emiliano Manfredonia
«Un’esperienza allegra, ma seria». Così Emiliano Manfredonia definisce la Settimana vissuta a Trieste. «L’allegria era quella di una Chiesa “in uscita”, come il Papa ci chiede. Una Chiesa in grado di andare al cuore dei problemi. Abbiamo invaso una città, Trieste, che è un salotto e ha quindi favorito questo clima», dice il presidente delle Acli. «Un’esperienza che è stata anche una festa, ma che ora deve spingerci, tutti, a uscire dalla nostra comfort zone. Un’esperienza che è stata evocativa di quel che vogliamo essere. Non possiamo dirci cristiani senza essere nel contempo cittadini. Dobbiamo saper abitare le nostre città, come avvenuto a Trieste, senza disperderci e senza disperdere i nostri valori». E le Acli intendono essere in prima fila, protagoniste nel rendere concreta e praticabile da tutti questa nuova prospettiva di partecipazione democratica venuta fuori a Trieste, promuovendo due interessanti proposte di legge di iniziativa popolare, «senza pretendere di dettare la linea al legislatore, ma chiedendo di valutarle con attenzione».
Che cosa ha rappresentato Trieste nella vita dei cattolici italiani?
Ho trovato questa esperienza vissuta insieme molto profetica. Un’esperienza che non nasce a Trieste e nemmeno può finire lì. Ma è stata segnata una svolta, diciamo che abbiamo svoltato l’angolo. Occorre ora ripartire da questa nuova consapevolezza comune del valore della democrazia.
L’intervento di Mattarella ha aiutato a partire col piede giusto.
Quell’intervento andrebbe studiato e approfondito, perché ci ha riportato alle origini del nostro impegno di cattolici, andando a riscoprire l’insegnamento venuto dalla cruciale Settimana sociale di Firenze del 1945, quando c’era un Paese da ricostruire, la Repubblica non era ancora nata, e i cattolici hanno saputo offrire, insieme, il loro decisivo contributo. La democrazia non consiste solo nella possibilità di andare a votare, è un impegno da vivere ogni giorno, specie oggi che essa è venuta meno in molte parti del mondo e dove c’è ancora, come da noi, non è che stia dando il meglio di sé.
Che impegno vi sentite affidato dalla Chiesa italiana?
Il Cardinale Zuppi, senza richiamarla apertamente, ci ha nella sostanza ribadito la prospettiva di una Chiesa “in uscita” che deve mettersi in cammino insieme, avendo a cuore che nessuno resti ai margini. Dobbiamo ripartire dai più deboli, da chi rischia di restare indietro e chiede di essere ascoltato. La democrazia impone di tenere un passo in cui tutti insieme ci si possa ritrovare aiutando chi non ce la fa. Per questa ragione siamo preoccupati per la legge sull’autonomia differenziata e ci siamo impegnati nel referendum abrogativo.
Si è parlato di “metodo Trieste”. Che cosa ha rappresentato per lei?
È la capacità di guardarsi in faccia, di confrontarsi, a prescindere dagli schieramenti. Non facciamo politica per demonizzare l’avversario, ma per rimettere al centro la cultura, nella consapevolezza che per contribuire davvero all’edificazione del bene comune non si possono immaginare risposte semplici e immediate a problemi complessi. Occorre tempo, occorre avviare un processo come ci ha detto il Papa, ed è questo il compito che ci viene affidato, dopo Trieste, non occupare spazi, ci ha richiamato.
Avete dato il vostro contributo promuovendo due leggi di iniziativa popolare. La prima sui partiti.
Consideriamo fondamentale restituire a questo irrinunciabile strumento il ruolo di “palestra” di democrazia, che è la funzione loro affidata dall’articolo 49 della Costituzione. Debbono tornare ad avere una loro struttura interna democratica e rendere pubblici i loro sistemi di finanziamento.
C’è poi la proposta di assemblee partecipative.
È una proposta che riprende con una specifica iniziativa una delle piste di lavoro indicate a Trieste e da trasferire sui territori. Possono avere come interlocutori gli enti locali o anche il Parlamento. Ad esempio se sul “fine-vita” si fatica a trovare un’intesa possiamo provare a mettere insieme una proposta dal basso. Sarebbe uno strumento di democrazia importante tanto più in una situazione come quella determinata dalla legge elettorale in vigore che impedisce ai cittadini la selezione della classe dirigente. Uno strumento che può dare un contributo al ritorno alla partecipazione attiva, visti gli attuali livelli che ha raggiunto di astensionismo.
Che cosa avete voluto affermare con la riflessione comune pubblicata nel libro “Sfidare i realismo”.
Che alla politica chiediamo un impegno esigente, radicale, non moderato, sui valori che ci stanno a cuore e sulla centralità della persona, a partire dai più deboli. Ed è questa la sfida, partita da Trieste, da rilanciare insieme sul territorio, come cristiani impegnati in un nuovo protagonismo, per edificare il bene comune nel solco dell’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa.