La Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito oggi che la decisione delle autorità italiane di rifiutare l'accesso al metodo Stamina a una donna,
affetta sin dall'adolescenza da una malattia degenerativa del cervello, non ha leso i suoi diritti. Nel ricorso preso in esame dalla Corte e presentato da Nivio Durisotto si sostiene che la
decisione presa dal tribunale di Udine di rifiutare alla figlia l'accesso al metodo stamina ha leso il suo diritto alla vita e quello al rispetto della vita privata. Inoltre, secondo il ricorrente, la sentenza italiana è stata discriminatoria, perché in altri casi simili a quello di sua figlia i tribunali
hanno autorizzato l'uso di questa terapia.
Ma i giudici della Corte europea dei diritti umani non hanno sposato la sua tesi e hanno invece stabilito che le autorità
italiane non hanno leso alcun diritto della donna. I giudici di
Strasburgo ritengono che nel rifiutare l'accesso al metodo
stamina il tribunale di Udine abbia "dato ragioni sufficienti" e
che la decisione non è stata "arbitraria".
I giudici sottolineano che il rifiuto è stato imposto sulla
base del decreto legge n.24 del marzo 2013, che regola l'accesso
al metodo stamina e stabilisce che al metodo possono avere
accesso solo i pazienti che hanno iniziato la cura prima
dell'entrata in vigore della nuova legge. La Corte europea dei
diritti umani osserva inoltre che "a oggi il valore terapeutico
del metodo Stamina non è stato provato scientificamente" e che
il decreto legge "persegue il giusto obiettivo di proteggere la
salute dei cittadini".