La nuova Social card è in sperimentazione in dodici città (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia e Verona) e prevede, oltre a servizi di inclusione sociale, un contributo economico variabile tra i 231 e 404 euro mensili a seconda dei componenti la famiglia.Questi i requisiti richiesti:- presenza di almeno un minore; - Isee inferiore a 3.000 euro;- abitazione: valore Ici inferiore a 30.000 euro;- patrimonio mobiliare inferiore a 8.000 euro;- valore complessivo di altri aiuti economici non superiore a 600 euro mensili;- nessun componente del nucleo familiare deve possedere autoveicoli immatricolati nei dodici mesi antecedenti la richiesta, o essere in possesso di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.300 cc. nonché di motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc. immatricolati nei tre anni antecedenti.- nessun componente del nucleo familiare deve prestare attività lavorativa al momento della richiesta del contributo e almeno un componente deve aver cessato un rapporto di lavoro, oppure almeno un componente deve avere un rapporto di lavoro il cui reddito percepito nei sei mesi antecedenti la richiesta, non sia superiore a 4.000 euro.
Il caso più eclatante è quello di Milano che, salvo cambiamenti, non riuscirà a distribuire tutti i sussidi anti-povertà a sua disposizione. Ma il problema riguarda in misura minore anche altre città, come Napoli ad esempio, che a fronte di una povertà assai diffusa e letteralmente esplosa negli ultimi anni, ha "faticato" a trovare ottocento famiglie da aiutare. Sono i paradossi e i limiti della sperimentazione della nuova Social card, che stenta a decollare.La questione riguarda appunto il nuovo strumento di contrasto alla povertà sul quale si è avviata lo scorso anno una sperimentazione in 12 città con uno stanziamento di 50 milioni di euro. Nel corso del 2014 si prevede poi di ampliarne l’utilizzo a tutto il Mezzogiorno. La nuova carta prevede sia un contributo economico variabile tra 231 e 404 euro mensili, a seconda della composizione del nucleo familiare, sia l’attivazione di un percorso di inclusione sociale. Il target individuato per questo primo intervento innovativo è quello delle famiglie con almeno un minore in povertà e che rispondono ad alcuni criteri. Requisiti per l’accesso giudicati da molti osservatori e dai Comuni coinvolti molto, probabilmente troppo, stringenti. Tanto da provocare appunto quei paradossi evidenziati all’inizio e che hanno reso difficoltoso l’avvio dell’utilizzo del nuovo strumento.A Milano, appunto, si è creato il problema maggiore. Sono state infatti presentate appena 1.738 domande a fronte di un ben più ampio bacino di bisognosi. E di queste solo il 38,3% ha passato il vaglio del Comune prima e dell’Inps poi, chiamato a verificare la congruità delle dichiarazioni e delle situazioni lavorative. Oltre la metà delle domande, 968, sono state respinte, mentre poco più di un centinaio sono "sospese" in attesa di ulteriori approfondimenti. «Purtroppo si è confermato quanto avevamo denunciato mesi fa – ha detto l’assessore meneghino alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino –. I criteri di individuazione della soglia di povertà si sono rivelati troppo stringenti e così molte famiglie in condizione di gravissimo disagio non vedranno riconosciuta la propria condizione di precarietà».Stesso scenario a Napoli, dove sono arrivate appena 2.850 domande, solo 771 sono state validate, 400 sono ancora sospese e il resto è stato bocciato senza appello. «Un paradosso: i fondi a disposizione, poco meno di 9 milioni, ci permettevano di aiutare più di 1.000 famiglie – commenta l’assessore al welfare Roberta Gaeta –. Sempre poco rispetto al bisogno, ma addirittura rischiamo di avere meno domande accolte delle Social card a disposizione. I criteri riguardanti la condizione lavorativa erano molto limitanti, di fatto hanno escluso i tantissimi inoccupati e quelli che per sopravvivere hanno lavorato in nero».Domande falcidiate anche a Torino, dove delle 1.948 richieste arrivate, ne sono state giudicate idonee appena 757, 71 sono sospese e ben 1.120 sono state ritenute non idonee soprattutto per la mancanza dei requisiti legati alla condizione di lavoro. Con i fondi a disposizione si poteva arrivare ad attivarne probabilmente anche 1.000.Un po’ meglio è andata all’altro capo del Paese, a Palermo. «A noi sono giunte poco meno di 5mila domande e ne sono state accolte 1.490, più o meno il numero di Social card che avevamo la possibilità di attivare con i 6 milioni di euro a nostra disposizione – spiega l’assessore ai servizi sociali di Palazzo delle Aquile, Agnese Ciullo –. Certo i criteri erano rigidi, altrimenti avrei avuto 200mila domande... Ma è una sperimentazione, mirata alle famiglie di disoccupati con minori, e come tale va considerata. Poi, certo, resta da affrontare tutto il problema della povertà in generale».Alla fine avvantaggiata è stata Roma, che è partita per ultima a causa delle elezioni amministrative e ha chiuso venerdì i termini per la presentazione delle domande, potendo "sfruttare" l’esperienza degli altri Comuni. «All’inizio ero piuttosto preoccupata – confessa l’assessore alle Politiche sociali Rita Cutini –. Poi ci siamo mobilitati coinvolgendo decine di rappresentanti dell’associazionismo per diffondere le informazioni e aiutare le persone bisognose a stilare le domande». Risultato: ne sono arrivate 6.500 un numero che dovrebbe essere sufficiente ad attivare tra le 2.500 e le 4.000 Social card (a seconda dell’importo variabile) che la capitale ha a disposizione, grazie allo stanziamento di poco meno di 12 milioni di euro. «Ora ci stiamo attivando per la seconda fase, quella dell’inclusione sociale delle persone e intanto stiamo concordando con le altre città i suggerimenti da portare al governo per migliorare lo strumento. Certamente i nodi maggiori hanno riguardato i requisiti reddituali molto bassi e più ancora quello lavorativo. Basti pensare che solo a Roma abbiamo 30mila minori in povertà assoluta, eppure appena 6mila famiglie hanno potuto presentare le domande per il sostegno. Bene la sperimentazione, allora. Ma serve un vero investimento sulle politiche sociali, un fondo universale di contrasto alla povertà. O non usciremo dalla crisi».