mercoledì 19 settembre 2012
Sette anni fa un aneurisma ha fatto finire in coma Simone La Perna, direttore di banca. Poi il risveglio e la rinascita nella fede, grazie alla famiglia. L'ultima vittoria: «in piedi, nella parrocchia distrutta dal sisma accanto alla mia Eleonora».
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«Come tutti i giorni, anche quel 4 novembre 2005 alle 7 del mattino, ricordo di essere uscito di casa...». Iniziava così una giornata che avrebbe dovuto essere normale, e così si apre pure il libro scritto dal protagonista, Simone La Perna, 56 anni, fino a quel giorno direttore di banca a Modena. Ma il libro ("Vivo perché qualcuno mi ama") prende presto una piega imprevista, proprio come quella giornata di sette anni fa: alla sera il direttore di banca crolla a terra sull’asfalto e solo la tempestività di un passante fa sì che i soccorsi siano immediati. «Quando arrivarono ero già in coma. I sanitari fecero una fatica immensa per intubarmi, tanto che fu necessario rompermi un dente anteriore...». Cos’era successo nella sua vita, regolare come un orologio svizzero? «Nell’arteria cerebrale si era rotto un aneurisma che non avevo mai saputo di avere. In seguito lo ribattezzai "lo schifoso". Lo "schifoso" aveva aspettato buono buono 49 anni: perché quel venerdì sera?».Seguono il coma e una faticosa risalita, che dura ancora oggi...Sono sempre stanco, ho continuamente una grande debolezza addosso e questa è la cosa che detesto. Dopo sette anni sono stanco di essere stanco... Io che ero attivissimo, amavo la perfezione e guai se non andava tutto come avevo previsto, ora vedo con chiarezza che nella vita le cose arrivano quando non te le aspetti. Fino al 3 novembre per me la disabilità era una cosa che capita solo agli altri. Proprio come il terremoto. Ma quando te lo senti sotto le gambe le cose cambiano.Dover dipendere sempre da qualcuno ha in qualche modo cambiato le sue idee?Nei confronti del prossimo totalmente. C’è un passaggio del libro che lo spiega bene, quando racconto del giorno in cui sono tornato nel ristorante dove da sano andavo spesso ma questa volta sono rimasto fuori: la porta era più stretta della mia sedia a rotelle. Quando una persona non è disabile, vive nell’indifferenza totale di alcune "barriere" invece insormontabili. Magari anche io in passato non ci sono stato attento, finché non sei dall’altra parte non ci pensi, ma ora quanto mi fa male tanto disinteresse!Dopo mesi di sconforto, lei ha risalito la china. Quali sono le risorse?La famiglia, la fede e tanta forza di volontà, necessaria per superare ostacoli mentali come la paura di farsi vedere dalla gente seduto su una carrozzina. Mi sono violentato, per riuscirci. L’ultima grande spinta me l’ha data mia figlia Eleonora, che la settimana scorsa si è sposata e voleva che la accompagnassi all’altare. È stato il mio pensiero fisso per mesi, non volevo deluderla ma avevo una paura terribile, mi sono allenato giornate intere nel tendone che da maggio funge da chiesa (il terremoto ha distrutto la nostra parrocchia) per riuscire a fare i passetti necessari ad arrivare dalla porta all’altare senza cadere sull’erba del "pavimento". Il giorno delle nozze ho stretto i denti, avevo gli sguardi di tutti addosso, ma l’ho presa a braccetto e sono arrivato. E pensare che nella mia vita precedente qualsiasi traguardo lo raggiungevo: nel 1977 a 21 anni, appena assunto in banca, mi giurai che entro i 40 sarei stato direttore. Lo diventai a 39 e mezzo.Poi però arriva un aneurisma e si capiscono tante cose.È stata una bella lezione. Durissima ma anche importante. Ad esempio ho capito che in passato io lavoravo e lavoravo, ma dimenticavo di vivere. Ora invece che sono "costretto" a vivere, nel senso che ho molte ore per riflettere, mi gusto attimo per attimo la vita. La fede si è rafforzata tanto, anche perché sono un "miracolato", a detta del neurologo "l’unica persona uscita viva da un aneurisma tanto grave". Oggi ancora di più detesto il concetto di eutanasia, perché io sono stato in coma e ricordo che sentivo tutto ciò che avveniva intorno a me. Nei giorni di Eluana ho sofferto, la vita è un dono e va vissuta, già lo pensavo da sano ma ora che sono un disabile ne sono certo. Se uno è lasciato solo, può cadere nella disperazione e chiedere di morire, ma la mia famiglia mi ha accolto con un amore totale e infinito e questo è ciò che è mancato a Eluana. Noi disabili siamo imperfetti e magari siamo pure un peso, ma anche in coma non un solo istante ho mai desiderato di morire. E oggi, con pochi passi sull’erba, ho sconfitto in un colpo i due terremoti della mia vita.
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