«A ccetto come cittadino lo sgombero del Papa Giovanni, ma non lo condivido come cristiano e tantomeno come vescovo. Si è voluto creare un polverone rivangando il passato per coprire decisioni di oggi discutibili ma molto chiare a qualcuno che sa bene. Così sono sempre i poveri a pagare un prezzo a chi deve ancora meglio arricchirsi». Sono parole nette quelle dell’arcivescovo di Cosenza monsignor Salvatore Nunnari sui recenti fatti che hanno riguardato l’istituto di Serra d’Aiello. Parole che si basano su fatti concreti. A partire dall’inspiegabile e improvvisa accelerazione degli eventi, proprio quando la diocesi aveva trovato una soluzione per salvare l’istituto garantendo soprattutto i malati. Proprio quelli che ora stanno vivendo un nuovo dramma. Le notizie che giungono dai luoghi dove sono stati portati lo scorso 17 marzo sono più che preoccupanti. Pasqua, ricoverata a Malito, è morta di infarto, ma forse si dovrebbe parlare di dolore, lei che non era mai stata diagnosticata come cardiopatica. Fran- cesco, persona Down, è caduto da una finestra, procurandosi 14 punti in testa. È stato spinto e si è buttato lui? Strano perché Francesco, spiega il suo amministratore di sostegno, «viveva all’Istituto ma anche nel paese serenamente perché aveva trovato il suo equilibrio ed ora si trova ricoverato in ospedale da solo e senza sapere quale sarà il suo futuro». Storie inquietanti. Stress o cure sbagliate? Il sospetto c’è visto che non sono state consegnate le cartelle cliniche. Così come gli oggetti personali e perfino i vestiti. La signora Giovanna, riferisce un parente, era arrivata alla Casa di cura molto spaventata, disidratata, e senza vestiti di ricambio ma solo con gli abiti che indossava. Come lei quasi tutti gli ex ospiti del Papa Giovanni. Questo, per ora, il triste epilogo della vicenda. Un esito provocato anche da inspiegabili 'stop' ai tentativi di salvare l’istituto. Andiamo con ordine. Alla fine del 2006 il sostituto procuratore di Paola, Eugenio Facciolla che sta indagando sul Papa Giovanni incontra l’arcivescovo. «Mi chiese di collaborare: aveva le prove, disse, che l’amministratore don Luberto aveva rubato all’istituto. Non all’istituto, gli risposi, ma ai poveri. È qualcosa che grida al cospetto di Dio, avrete tutta la mia collaborazione. Prendete tutte le carte, anche il mio computer». Così partono i tentativi di salvataggio. Una prima delibera della giunta regionale di centrodestra, che autorizzava la vendita a privati dell’istituto (c’era già un offerta dell’imprenditore Manna di Cosenza), nel passaggio di consegne alla nuova giunta di centrosinistra scompare e riappare solo su internet ma senza firma. Niente da fare. Tocca poi all’assessore alla sanità Doris Lo Moro avanzare un progetto col coinvolgimento di Sviluppo Italia per creare una società mista pubblico-privata. Sembra buono. Nunnari lo appoggia. Ma la Lo Moro viene eletta deputato. «Il giorno dopo - ricorda il vescovo - viene a trovarmi Franco Pietramala, allora funzionario e oggi direttore della Asp e dell’Azienda ospedaliera di Cosenza. Mi ricorda che l’istituto è un ente privato e che quello che aveva detto la Lo Moro erano 'solo sue ubbìe', cioé solo chiacchiere, fantasie. E mi invita a rassegnarmi: qualunque coinvolgimento della Regione non ci sarebbe stato». Ma l’arcivescovo non si arrende, anche perché nel frattempo, soprattutto dopo l’arresto di don Luberto, e l’arrivo del direttore sanitario e poi commissario Assunta Signorelli, «comincia il periodo buono del Papa Giovanni. Le cose mi davano più serenità e anche i dipendenti lavoravano meglio». Intanto si fa avanti la società 'Vela Latina', che propone un affitto di 1 milione di euro l’anno, ma senza spendere nulla per la ristrutturazione. Non va bene. Inoltre uno dei proprietari risulta avere alcune gravi condanne. Viene così scelto il Gruppo Fiorile che pagherà un affitto simbolico di 400 euro ma metterà immediatamente a disposizione 8 milioni di euro per la ristrutturazione entro 12 mesi. Inoltre il suo progetto è in sintonia con quanto si sta facendo in questi ultimi due anni. Così a metà febbraio si tiene una riunione alla quale partecipano l’assessore regionale allo sviluppo economico Maiolo, delegato dal presidente Loiero, i sindacati, la Signorelli e i funzionari dell’assessorato alla sanità. Tutti d’accordo, mandato pieno al vescovo: si firmi con la Fiorile. Ma, come un fulmine a ciel sereno, il 25 arriva a Nunnari una telefonata del prefetto Fallica che lo invita a fermarsi, avvertendolo che il procuratore di Paola e Pietramala gli avevano preannunciato la chiusura dell’istituto. «Io gli spiegai che nonostante questo avviso, per il mandato che avevo avuto da quel tavolo di concertazione e per la parola data, io avrei firmato la lettera d’intenti ». Così avviene il giorno dopo, 26 febbraio. Ma appena 24 ore dopo, in prefettura, presenti Facciolla, i commissari giudiziari e Pietramala, al vescovo viene confermato lo sgombero. «Risposi che allora non avevo più niente da dire. Che accettavo lo sgombero ma non lo condividevo. E mi domandavo quale fosse il tavolo dei galantuomini: quello che aveva sancito l’accordo o quello che mi annunciava lo sgombero». Poi i fatti precipitano. Ed è vero dramma per i 300 ospiti del Papa Giovanni.