venerdì 3 aprile 2009
Il 17 marzo i pazienti dell'istituto di Serra D'Siello furono trasferiti con la forza, anche se la diocesi aveva trovato una soluzione per salvare struttura e tutelare i malati. La mala amministrazione regressa, giunte regionali vecchie e nuove, la ripresa stroncata dal sequestro: il vescovo ricostruisce la drammatica vicenda.
COMMENTA E CONDIVIDI
«A ccetto come cittadino lo sgom­bero del Papa Giovanni, ma non lo condivido come cri­stiano e tantomeno come vescovo. Si è volu­to creare un polverone rivangando il passa­to per coprire decisioni di oggi discutibili ma molto chiare a qualcuno che sa bene. Così sono sempre i poveri a pagare un prezzo a chi deve ancora meglio arricchirsi». Sono parole nette quelle dell’arcivescovo di Cosenza mon­signor Salvatore Nunnari sui recenti fatti che hanno riguardato l’istituto di Serra d’Aiello. Parole che si basano su fatti concreti. A par­tire dall’inspiegabile e improvvisa accelera­zione degli eventi, proprio quando la dioce­si aveva trovato una soluzione per salvare l’i­stituto garantendo soprattutto i malati. Pro­prio quelli che ora stanno vivendo un nuovo dramma. Le notizie che giungono dai luoghi dove sono stati portati lo scorso 17 marzo so­no più che preoccupanti. Pasqua, ricoverata a Malito, è morta di infarto, ma forse si do­vrebbe parlare di dolore, lei che non era mai stata diagnosticata come cardiopatica. Fran- cesco, persona Down, è caduto da una fine­stra, procurandosi 14 punti in testa. È stato spinto e si è buttato lui? Strano perché Fran­cesco, spiega il suo amministratore di soste­gno, «viveva all’Istituto ma anche nel paese serenamente perché aveva trovato il suo e­quilibrio ed ora si trova ricoverato in ospe­dale da solo e senza sapere quale sarà il suo futuro». Storie inquietanti. Stress o cure sba­gliate? Il sospetto c’è visto che non sono sta­te consegnate le cartelle cliniche. Così come gli oggetti personali e perfino i vestiti. La si­gnora Giovanna, riferisce un parente, era ar­rivata alla Casa di cura molto spaventata, di­sidratata, e senza vestiti di ricambio ma solo con gli abiti che indossava. Come lei quasi tutti gli ex ospiti del Papa Giovanni. Questo, per ora, il triste epilogo della vicen­da. Un esito provocato anche da inspiegabi­li 'stop' ai tentativi di salvare l’istituto. An­diamo con ordine. Alla fine del 2006 il sosti­tuto procuratore di Paola, Eugenio Facciolla che sta indagando sul Papa Giovanni incon­tra l’arcivescovo. «Mi chiese di collaborare: a­veva le prove, disse, che l’amministratore don Luberto aveva rubato all’istituto. Non all’isti­tuto, gli risposi, ma ai poveri. È qualcosa che grida al cospetto di Dio, avrete tutta la mia collaborazione. Prendete tutte le carte, an­che il mio computer». Così partono i tentati­vi di salvataggio. Una prima delibera della giunta regionale di centrodestra, che auto­rizzava la vendita a privati dell’istituto (c’era già un offerta dell’imprenditore Manna di Co­senza), nel passaggio di consegne alla nuova giunta di centrosinistra scompare e riappare solo su internet ma senza firma. Niente da fare. Tocca poi all’assessore alla sanità Doris Lo Moro avanzare un progetto col coinvolgi­mento di Sviluppo Italia per creare una società mista pubblico-privata. Sembra buono. Nun­nari lo appoggia. Ma la Lo Moro viene eletta deputato. «Il giorno dopo - ricorda il vescovo - viene a trovarmi Franco Pietramala, allora funzionario e oggi direttore della Asp e del­l’Azienda ospedaliera di Cosenza. Mi ricorda che l’istituto è un ente privato e che quello che aveva detto la Lo Moro erano 'solo sue ubbìe', cioé solo chiacchiere, fantasie. E mi invita a rassegnarmi: qualunque coinvolgi­mento della Regione non ci sarebbe stato». Ma l’arcivescovo non si arrende, anche per­ché nel frattempo, soprattutto dopo l’arresto di don Luberto, e l’arrivo del direttore sani­tario e poi commissario Assunta Signorelli, «comincia il periodo buono del Papa Gio­vanni. Le cose mi davano più serenità e an­che i dipendenti lavoravano meglio». Intan­to si fa avanti la società 'Vela Latina', che pro­pone un affitto di 1 milione di euro l’anno, ma senza spendere nulla per la ristruttura­zione. Non va bene. Inoltre uno dei proprie­tari risulta avere alcune gravi condanne. Vie­ne così scelto il Gruppo Fiorile che pagherà un affitto simbolico di 400 euro ma metterà immediatamente a disposizione 8 milioni di euro per la ristrutturazione entro 12 mesi. I­noltre il suo progetto è in sintonia con quan­to si sta facendo in questi ultimi due anni. Così a metà febbraio si tiene una riunione al­la quale partecipano l’assessore regionale al­lo sviluppo economico Maiolo, delegato dal presidente Loiero, i sindacati, la Signorelli e i funzionari dell’assessorato alla sanità. Tutti d’accordo, mandato pieno al vescovo: si fir­mi con la Fiorile. Ma, come un fulmine a ciel sereno, il 25 arriva a Nunnari una telefonata del prefetto Fallica che lo invita a fermarsi, avvertendolo che il procuratore di Paola e Pie­tramala gli avevano preannunciato la chiu­sura dell’istituto. «Io gli spiegai che nono­stante questo avviso, per il mandato che avevo avuto da quel tavolo di concertazione e per la parola data, io avrei firmato la lettera d’in­tenti ». Così avviene il giorno dopo, 26 febbraio. Ma appena 24 ore dopo, in prefettura, presenti Facciolla, i commissari giudiziari e Pietra­mala, al vescovo viene confermato lo sgom­bero. «Risposi che allora non avevo più nien­te da dire. Che accettavo lo sgombero ma non lo condividevo. E mi domandavo quale fosse il tavolo dei galantuomini: quello che aveva sancito l’accordo o quello che mi an­nunciava lo sgombero». Poi i fatti precipita­no. Ed è vero dramma per i 300 ospiti del Pa­pa Giovanni.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: