Non può tacere chi ha dedicato oltre 10 anni a invitare alla conversione pastorale, ad uscire dalle sacrestie, a 'gettarsi nella mischia' per compiere uno sforzo comune per salvare Napoli. Non può tacere il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, all’indomani dell’ennesima aggressione dinanzi alla fermata della metro di un sedicenne.
Eminenza, nel suo ministero pastorale ha sempre lottato per cancellare i luoghi comuni che infangano la nostra città vittima del malcostume e del malaffare. Eppure in queste ultime settimane siamo agli onori della cronaca per accoltellamenti causati da giovanissimi. Quale la sua analisi da attento Pastore?
Napoli da decenni è vittima di giudizi superficiali espressi da commentatori prevenuti e ingenerosi, ma la nostra città, comunque, è tradita da alcuni dei suoi stessi figli, che la offendono con i loro comportamenti, con la violenza, con i loro scellerati atti. Si tratta di manipoli di malavitosi che fanno notizia perché vogliono imporre la legge del malaffare, della corruzione e, quindi, del controllo del territorio. Poi vengono fuori quelli della seconda fila, i più piccoli che imitano, che si atteggiano a capi e sono più pericolosi anche perché, in qualche modo, diventano modello per i più fragili, per i ragazzi di famiglie sbandate. Ed ora abbiamo le baby gang, ragazzi quasi sempre minorenni e incensurati che si attengono unicamente alla legge del branco, senza un perché, per cui mettono in atto aggressioni in danno di coetanei indifesi. È la legge della strada, in mancanza della legge della famiglia. I genitori per scelta o per necessità non si curano di loro, quasi li ignorano. E questi ragazzi restano vuoti dentro. È crisi economica? No! È crisi di valori. Di chi la responsabilità? Di tutti. Su tutta la società grava il peccato di omissione. Anche la Chiesa, forse, in certi momenti si distrae e non dimostra tutta l’attenzione che dovrebbe rivolgere a coloro che sono lontani. Bisogna essere comunità sempre e cercare di coinvolgere tutti.
La Chiesa di Napoli, con lei e l’ufficio diocesano di pastorale giovanile, 10 anni fa lanciò una rete di coinvolgimento pubblico con l’operazione 'lasciate cadere i coltelli', andando nelle scuole, nei locali pubblici, nelle strutture sportive. Molti ragazzi posarono in maniera anonima nelle chiese i loro coltelli, alcuni giovani si sono consegnati alla giustizia, mentre altri hanno fatto un percorso di riconciliazione con i giovani feriti e le loro famiglie. Ora ci risiamo, è mancato qualcosa
Probabilmente è mancata la continuità dell’azione, ma bisogna anche dire che in questi anni si è andata sgretolando la famiglia, soprattutto nelle aree più precarie dove è maggiore il disagio, dove anche le condizioni ambientali stravolgono i sentimenti, il modo di pensare e di rapportarsi all’altro, il senso civico, il rispetto delle regole. Così, vivere sopra le righe o avere in dispregio la legge e sentirsi diversi dagli altri componenti della comunità per alcuni diventa una conseguenza quasi naturale, se non motivo di orgoglio.
Lei ha sempre condannato la cultura del lamento. Perciò anche ora occorre 'rimboccarsi le maniche'. A chi dobbiamo fare questo appello? A fine anno ha avanzato una proposta concreta…
Non possiamo piangerci addosso e forse non ne abbiamo neppure il diritto, perché la colpa ricade in qualche modo su tutti. Per questo ho detto che non serve recriminare o delegare ad altri. Da soli non si va da nessuna parte: c’è bisogno di lavorare insieme e costruire una rete facendo ciascuno la propria parte. Così ho proposto di costituire un Comitato permanente, come quello per l’ordine e la sicurezza pubblica, con la partecipazione delle istituzioni pubbliche, della chiesa, della scuola, del mondo accademico, dei soggetti rappresentativi dei genitori, delle famiglie, dei giovani. Una proposta accolta con positività da tutti e sulla quale stiamo lavorando. Così vogliamo dimostrare ai giovani attenzione, vicinanza per difendere chi vive di valori e per recuperare coloro che si sono messi sulla strada sbagliata. Individuiamo i percorsi di una possibile prevenzione, che deve significare incontro, ascolto, accompagnamento, formazione.
'Alzate il capo' - disse all’Immacolata a una città ferita. Ora quello stesso appello va forse ripetuto a queste famiglie, piagate dal dolore, a questa città che vive la sofferenza, ma anche a tanti genitori che temono per il futuro dei loro figli, ragazzi che hanno paura di uscire da soli…
Alzate il capo verso il cielo, dissi, per chiedere protezione e aiuto alla Mamma Celeste, ma anche per tenere la schiena diritta, per non piegarsi al male. Lo dissi e lo ripeto ai napoletani, ma lo dico ora con forza ai giovani tutti, ai genitori, alle famiglie. E alle mamme e ai papà dico, ancora di più, di assumere il ruolo della loro genitorialità: si è genitori giorno per giorno, altrimenti i figli si sbandano e agiscono come vogliono. Un invito lo rivolgo anche ai sacerdoti: alzate il capo per vedere quello che succede sul territorio parrocchiale, guardate oltre il quotidiano; cercate quei tantissimi altri giovani che si muovono in lontananza e andategli incontro senza aspettare nelle sagrestie e negli oratori. La nostra deve essere una chiesa autenticamente missionaria, che sappia educare e interessare, prima ancora di catechizzare.
Quest’anno la Diocesi ha come piano pastorale 'Accogliere i pellegrini'. Tutti coloro a cui nessuno volge uno sguardo, ma anche chi ha perso la speranza. Quale il messaggio ai tanti giovani della nostra terra in cerca di futuro, anche in vista del Sinodo dei Giovani?
L’impegno di quest’anno pastorale è l’accoglienza che non va indirizzata solo a coloro che vengono da altri Paesi, ma anche chi cerca un aiuto, un sorriso, una carezza. Per i nostri giovani perciò da tempo ci siamo mossi con iniziative concrete: sono nati nuovi oratori, le bande musicali, i tornei di calcetto inter parrocchiali. Cerchiamo di trovare soluzioni e progetti per offrire alternative alla strada. E per chi è lontano abbiamo promosso e continuiamo a proporre l’evangelizzazione di strada realizzata dagli stessi giovani: sono i ragazzi che vanno nei luoghi della movida, dell’aggregazione per parlare ai loro coetanei, in alcuni casi avviando a veri e propri cammini di conversione. Rivolgiamo il nostro sguardo ai giovani che per loro natura vanno in cerca di motivazioni e di emozioni. A loro dico di non arrendersi, di non perdere la speranza, di continuare a sognare non per rincorrere illusioni ma per non perdere la bellezza della innocenza, la freschezza dell’età, la genialità dell’essere, l’ottimismo della ragione. Il futuro è dei giovani e tutti dobbiamo aiutarli a costruirselo.