sabato 5 marzo 2011
La sindrome “burnout” colpisce soprattutto i docenti di lungo corso. Già nel ’79 il 30 per cento faceva uso di psicofarmaci. A Milano, nella sede di Diesse Lombardia, è stato aperto il primo e, finora, unico sportello in Italia per offrire ascolto e compagnia ai professori in crisi.
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E poi una mattina ti alzi e non hai più voglia di andare a scuola. Avverti un diffuso malessere che non capisci bene cos’è, ma di una cosa sei sicuro: questo mestiere non ti piace più. Eppure sono vent’anni che vai in cattedra, insegnare ti appassiona e i ragazzi ti stanno pure simpatici, in classe c’è un buon clima, eppure... Eppure, il “mal di scuola” può colpire quando meno te lo aspetti e, di solito, ne rimangono vittima gli insegnanti migliori, quelli più motivati che mai e poi mai penserebbero di trovarsi, tutto d’un tratto, in una condizione di apatia simile.Gli inglesi lo chiamano “burnout”, letteralmente “bruciare fuori”, cioè spegnersi, esaurirsi. E proprio di esaurimento (oltre che di tumore) si ammalano tanti docenti e non da oggi. Già più di trent’anni fa, nel 1979, una ricerca della Cisl evidenziava che oltre il 30 per cento degli insegnanti faceva uso di psicofarmaci. Più recentemente, uno studio ha evidenziato che il 49,8% dei dipendenti pubblici, con patologie psichiatriche, valutati dai Collegi medici delle Asl per l’inabilità al lavoro, è composto da insegnanti, il 37,6% da impiegati, il 28,3% da operatori sanitari e il 16,9% da operatori manuali. Lo stesso studio osserva che il 14,2% degli insegnanti visitati ha sviluppato anche patologie neoplasiche (tumori), contro l’11% degli operatori sanitari, il 9,2% degli impiegati e il 7,2% degli operatori manuali.«Fare l’insegnante è un mestiere usurante», spiega Anna Di Gennaro, responsabile del primo e, finora, unico sportello di ascolto per docenti in crisi, aperto alla fine del 2010 a Milano nella sede di Diesse Lombardia, in via Pergolesi. In questa veste ha recentemente scritto una lettera aperta al ministro Gelmini chiedendo di introdurre l’“anno sabbatico” per gli insegnanti a rischio burnout.Maestra elementare per trent’anni, Di Gennaro è colpita proprio dal “mal di scuola” e, in Commissione medica, viene visitata dal dottor Vittorio Lodolo D’Oria, uno dei pionieri italiani nello studio della sindrome burnout. La maestra decide di venirne fuori, si cura, lascia la scuola e si butta nell’aiuto ai tanti colleghi malati. Dal 2004 risponde alle domande di insegnanti in crisi sul sito Orizzonte scuola, mentre da qualche mese è impegnata allo sportello milanese.«In Italia – denuncia – questa malattia è ancora poco conosciuta e assolutamente non riconosciuta dalle istituzioni scolastiche che, finora, non hanno fatto nulla sul versante della prevenzione. Adesso, però, c’è una legge, il Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, che obbliga i dirigenti scolastici a tutelare la salute degli insegnanti e degli alunni».Già, perchè un professore che “impazzisce” può fare danni anche molto gravi in classe. «Ogni volta che leggiamo sui giornali di episodi di violenza o simili, che riguardano insegnanti, possiamo quasi essere certi che si tratti di burnout non capito, sottovalutato e, quindi, non curato», ricorda Anna Di Gennaro.All’estero, invece, il “mal di scuola” è conosciuto e assolutamente non sottovalutato. In Francia, a La Verrier, un sobborgo di Parigi, c’è addirittura un ospedale psichiatrico per insegnanti depressi, aperto dopo una serie impressionante di suicidi tra professori e maestri. In Inghilterra, è comune a tutte le scuole l’abitudine di riunire, almeno una volta al mese, l’intero corpo docente per affrontare, tutti insieme, il “rischio burnout”.«La solidarietà tra colleghi è fondamentale – ricorda Di Gennaro –. Tra i primi sintomi c’è il senso di solitudine e la vergogna a parlarne. L’aiuto degli altri professori può essere importante per capire che, anche se si sta male, se ne può uscire, è possibile guarire e anche tornare a lavorare. Magari non in classe, ma in biblioteca o in segreteria, come in alcune realtà è, per altro, già stato fatto».Essenziale è però che si muovano le istituzioni, il Ministero e gli enti locali, soprattutto sul versante della formazione dei dirigenti scolastici, ancora «troppo lenti a riconoscere in tempo il malessere che colpisce tanti insegnanti».
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