venerdì 6 ottobre 2023
Detenuto condannato per un omicidio di camorra racconta davanti alla commissione di aver commesso altri due delitti. Ha studiato dietro le sbarre diventando dottore in Sociologia con 110 e lode
Il carcere di Catanzaro, dove l'ex camorrista pentito si è laureato in Sociologia a pieni voti

Il carcere di Catanzaro, dove l'ex camorrista pentito si è laureato in Sociologia a pieni voti

COMMENTA E CONDIVIDI

Per Catello Romano, detenuto nel carcere di Catanzaro, scrivere dietro le sbarre la tesi di laurea in Sociologia si è trasformato in un esame di coscienza. È stata cioè l’occasione per confessare altri due delitti commessi, oltre a quelli per cui deve scontare una dura pena a trent'anni, venti dei quali già trascorsi anche in regime di 41bis. Lui è stato un killer della camorra, affiliato giovanissimo al clan D'Alessandro e finito dentro per l’omicidio del consigliere comunale Gino Tommasino avvenuto nel 2009 a Castellammare di Stabia. Ma, appena catturato, decise di collaborare con la giustizia.

"Fascinazione criminale" è il titolo della tesi discussa mercoledì pomeriggio in una sala del penitenziario: è una specie di autobiografia in cui Romano, 33 anni, racconta di aver fatto parte nel 2008 di un “commando” armato responsabile di altri tre efferati omicidi che rappresentano il suo "battesimo di sangue". Si tratta degli agguati in cui persero la vita, sempre nel Napoletano, Carmine D'Antuono e Federico Donnarumma e, una settimana dopo, Nunzio Mascolo. Delitti finora irrisolti e sui quali Romano svela dettagli e circostanze mai conosciuti finora dagli investigatori.

"Si è trattato dell'evento più violento, traumatico, irrimediabile della mia vita" ha detto Catello davanti alla commissione dei professori prima di ricevere il plauso e il massimo dei voti, 110 e lode. Intanto però la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha acquisito una copia dello scritto premiato dai docenti dell'università di Catanzaro: i magistrati devono fare luce sugli episodi descritti e valutare altre, probabili, iniziative giudiziarie nei confronti del detenuto che nel lavoro conclusivo dei suoi studi in sociologia sottolinea di aver voluto emulare con le sue gesta criminali il capo assoluto della camorra Raffaele Cutolo e il padrino del clan stabiese Renato Cavaliere. Già prima dei 20 anni Catello Romano aveva abbandonato i modelli positivi della sua vita, la madre (che l'altro giorno si è commossa quando il figlio ha ricevuto la pergamena di dottore), il nonno e il maestro di taekwondo, cedendo alle lusinghe dei boss.

Ma cosa ci dice questa (buona) notizia? Innanzitutto che credere nell'articolo 27 della Costituzione dove si afferma che le pene devono essere finalizzate alla rieducazione non è buonismo, ingenuità o un'utopia ma qualcosa di riscontrabile in tanti casi di detenuti che studiano, lavorano e si preparano da cittadini onesti alla loro vita civile fuori dalle mura del carcere. E poi si tratta di una speranza che prende forma a cui possono guardare anche gli altri "ristretti" i quali vivono una condizione che il più delle volte, invece, favorisce scelte di segno contrario. L'esempio di Catello Romano ci insegna che quella della "redenzione" e del riscatto umano e sociale è una strada difficile, impegnativa, ma si può percorrere con successo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: