Fondazione opera beato Bartolo Longo
Mettere in sicurezza ciò che è fragile, il che non signica affatto essere «difettoso» per questo, dare le «necessarie cure» a chi ha il diritto di ambire al miglior benessere possibile. Questo ci insegna il concetto della salute integrale. Un concetto ancor più vero quando si parla di disagio psichico. Ecco perché parole come welfare, politiche inclusive, universalità della cura diventano fondamentali. A ricordarlo il direttore dell’Ufficio per pastorale della Salute della Cei, don Massimo Angelelli, nel corso del Meeting della Cittadinanza piena e universale a Latiano (Brindisi) organizzato dalla Fondazione Opera Beato Bartolo Longo, quest’anno con il titolo “Verso la città della pace, profetica e bartoliana nuova Pompei, modello per il mondo”. Una settimana di incontri, che terminerà sabato 28 ottobre con la Fiaccolata per la pace per le vie di Latiano, in cui nella cittadina pugliese si affronta il tema della salute mentale in tutte le sue sfaccettature a cominciare dai bisogni sanitari, dall’arte e dalla musica, dallo sport con la partecipazione del Lecce calcio, fino a toccare appunto i temi dell’umanizzazione delle cure, del ruolo della famiglia e dell’inclusione.
Don Angelelli (Cei): nostro compito è mettere in sicurezza la fragilità
La salute integrale comprende tutti gli elementi che fanno parte del concetto di salute, «una condizione dinamica composta da cinque elementi: benessere fisico, mentale, spirituale, sociale e ambientale, non la mera assenza di malattia», ricorda don Angelelli nel polo museale di Latiano in cui si sono susseguite esperienze di pratiche di welfare e di inclusione di persone con fragilità mentali. Dunque lo scopo di questi cinque domini, aggiunge, «è quello di ambire a raggiungere il massimo benessere possibile attraverso una dinamica fondamentale che è la centralità della persona in modo indiscusso. È necessario, pertanto, accettare il fatto che il concetto di fragilità sia una condizione naturale della persona e che tutte le volte in cui attraversiamo dei momenti avversi, la nostra fragilità subisce uno squilibrio». Come un bicchiere di cristallo che di per sé è un oggetto molto fragile, «ma non è difettoso per questo, anzi è bellissimo proprio per queste caratteristiche – sottolinea ancora il responsabile Cei per la pastorale della Salute - Ma di certo se lo esponiamo ad una posizione di pericolo, ad esempio sul bordo di un tavolo, il bicchiere probabilmente si romperà perché non è stato trattato con le cure necessarie». Pertanto, il seguito del ragionamento di don Angelelli, «il nostro compito è mettere in sicurezza ciò che è fragile e le cure sono quei gesti che riportano la fragilità in una dimensione di sicurezza».
Don Massimo Angelelli e don Franco Galiano - Fondazione opera beato Bartolo Longo
Don Galiano (Fondazione Longo): diversità fa parte della vita, bisogna accogliere il cambiamento
La salute, infatti, non è solo un aspetto della vita, è parte fondante di essa. Ecco perché, se «in passato essere diversi significava essere emarginati, ancor più se si soffriva di patologie psichice, oggi occorre accogliere il cambiamento – ricorda il presidente della Fondazione Opera beato Bartolo Longo don Franco Galiano – come ci insegna il beato Bartolo Longo, per arrivare ad un modello di cittadinanza piena e universale. Un concetto oggi disatteso, mentre occorre recupare la dimensione della comunità aperta e accogliente, che faccia stare i giovani in società con diverse forme di inclusione, perché la diversità è una ricchezza e non un peso». Una vita che perciò non comprende la diversità, prosegue, «non è vita».
L’arcivescovo di Pompei Caputo: risolvere l’ingiustizia sociale, curando le ferite dei fragili
Cita più volte nel suo messaggio di saluto gli insegnamenti del beato Longo, l’arcivescovo di Pompei, delegato pontificio per il santuario, Tommaso Caputo, ricordando come è necessario impegnarsi «a costruire la pace prima in noi stessi, poi nelle nostre famiglie, nei luoghi di lavoro. Cerchiamo di lavorare per rimuovere cause e conseguenze dell’ingiustizia sociale curando le ferite dei fragili, di chi rimane indietro. Lo stato di salute di una comunità si misura proprio sul trattamento dei deboli, di coloro che vivono le periferie urbane, esistenziali e umane».
Fondazione opera beato Bartolo Longo
Cervellera (Cei): umanizzazione delle cure possibile se consideriamo il paziente un caro
Accosta due termini apparentemente lontani, malattia mentale e felicità, Gianni Cervellera, psichiatra membro della consulta dell’Ufficio nazionale per la pastorale della Salute della Cei, sottolineando che queste «sono persone con una ferita profonda, persone che hanno sognato una vita felice e si sono ritrovate con un taglio aperto e lacerante. Storie di persone a cui la vita ha riservato una destinazione scomoda, alternativa al pensare comune, eppure così alta e profonda da manifestare sorprese impreviste e inaudite». In questo contesto, perciò, «l’umanizzazione delle cure è praticabile se la persona che ci sta di fronte ci è cara», perché, aggiunge Cervellera, «il peso della sofferenza si riduce nell’incontro con l’altro, il ricongiungimento familiare rimedia agli affetti distrutti», «la felicità ritrovata nell’aiuto per gli altri».