martedì 6 febbraio 2024
Dopo il colloquio con Tajani e Nordio del papà, arriva la rottura tra l'esecutivo e la famiglia
Salis, il padre: «Dal governo solo “no”. Ilaria resta in cella»

Ansa

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Dopo il colloquio con i ministri Nordio e Tajani, il cauto ottimismo del padre di Ilaria Salis sembra svanito, lasciando il posto alla delusione. La 39enne militante antifascista «resterà in cella ad oltranza» in Ungheria, forse fino alla fine del processo.
«Non possiamo interferire nel procedimento e nello status di libertà dell'indagato», sono le considerazioni dei titolari di Esteri e Giustizia, dunque nessuna esplicita richiesta sarà avanzata da parte del governo per i domiciliari - come invocato dagli avvocati dell'insegnante milanese - né in Italia, né in ambasciata a Budapest». Così come non sarà prodotta alcuna nota che fornisca garanzie sull'applicazione delle misure cautelari nel nostro Paese: «Un'interlocuzione epistolare tra un dicastero italiano e l'organo giurisdizionale straniero sarebbe irrituale e irricevibile», spiega Nordio. Tre “no” che però si aggiungono al pressing dei rappresentanti di governo sull'avvocato ungherese di Salis, affinché chieda i domiciliari in Ungheria, «condizione indispensabile per attivare la decisione quadro Ue del 2009» e quindi l'eventuale esecuzione degli arresti domiciliari in Italia.
«È andata molto peggio di quanto ci aspettassimo, non vediamo nessuna azione che possa migliorare la situazione di mia figlia.
Siamo stati lasciati soli. Quanto che abbiamo chiesto ci è stato negato. Credo che mia figlia resterà ancora per molto tempo in carcere e la vedremo ancora in catene ai processi», ha sbottato amaro Roberto Salis assieme all'avvocato davanti all'uscio del ministero della Giustizia in via Arenula, subito dopo l'incontro con il Guardasigilli. Poco prima il papà di Ilaria con il legale Eugenio Losco aveva già incontrato «in maniera riservata» il capo della Farnesina: un colloquio definito «privato e cordiale» da Tajani, che ai giornalisti aveva fatto sapere che «quello che fa l'Italia sulla vicenda è noto e non c'è nulla da aggiungere, continuiamo a impegnarci affinché possa essere rispettata la normativa comunitaria in materia di diritti dei detenuti».
Nel frattempo lo stesso dibattito sul caso si stava discutendo in plenaria al Parlamento europeo con esiti che lasciavano intendere ancora spiragli, almeno nelle parole della commissaria Ue per i Servizi finanziari, per la quale «la misura di una detenzione alternativa, compresa quella dei domiciliari, sarebbe in linea con le conclusioni del Consiglio Ue», ha detto Mairead McGuinness, sottolineando che «la Commissione è a disposizione per aiutare a trovare una soluzione sostenibile».
Ma alla fine dei due incontri Roberto Salis ha tirato le fila di una giornata per lui sconfortante: «Lo Stato italiano non intende fare nulla, dipenderà tutto dal giudice ungherese, e ritiene di non voler fornire dei documenti che avevamo chiesto per agevolare il lavoro dei nostri avvocati, perché dicono che sarebbe irrituale e che possa creare dei precedenti. Sulla nota che avrebbe fornito garanzie sull'applicazione delle misure per i domiciliari in Italia, ritengono che dallo Stato italiano sarebbe mostrata come una excusatio non petita. Mi dicono che ci sono 2.500 italiani in queste situazioni e che - ha proseguito - non si può fare un'azione preferenziale nei confronti di nessuno. Ma se lasciamo tutti lì siamo uno Stato che difende i cittadini? Ricordiamoci che mia figlia è stata torturata senza carta igienica e senza sapone, e non è uscita neanche una nota di protesta dal nostro ministero degli Esteri. Mi sembra che ci sia un totale scollamento nel funzionamento dello Stato, non vedo fluidità delle informazioni e questo a scapito di persone come mia figlia».
Restano due alternative, con tempi più lunghi, di fronte ai legali di Ilaria: ripartire con una richiesta dei domiciliari a Budapest per la loro assistita, in vista delle applicazioni delle norme europee in seguito - come prospettato in primis da Nordio all'incontro - oppure valutare il ricorso alla corte di Strasburgo, come avevano già annunciato. «Dovremo cercare noi di fare qualcosa - ha spiegato il papà - Ora ci sarà carcere a oltranza fino a quando il giudice ungherese avrà finito il processo o ci sarà un'altra situazione. Ma in quel carcere lì si può anche morire».

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