Bene il ritiro, ma ora niente panico. L’industria del farmaco prova a rassicurare sulla bontà dei vaccini antinfluenzali, puntando sui controlli rigidissimi a cui è sottoposto il mercato dei medicinali. È il presidente di Farmindustria a voler spiegare che i vaccini consentono ogni anno di abbassare il numero dei morti causati dall’influenza. E lo fa a L’Aquila, durante il roadshow sulla strategicità del settore farmaceutico per lo sviluppo “Produzione di valore. L’industria del farmaco: un patrimonio che l’Italia non può perdere”. «Non è la prima volta che si ritirano alcuni lotti in via cautelativa – esordisce Massimo Scaccabarozzi – ed è giusto farlo» quando si sospettano dei problemi. Ma per vedere la correlazione causa-effetto tra antidoti e decessi occorrerà attendere i risultati delle indagini, anche se – continua – «mi risulta che questi vaccini siano stati ormai usati in 65 milioni di dosi». Certo l’errore può sempre esserci quando si producono miliardi di confezioni, ma «non bisogna creare il panico, perché si rischia di diminuire ulteriormente le coperture vaccinali», già in calo. Farmaci innovativi e vaccini hanno infatti consentito l’allungamento dell’aspettativa di vita di 12 anni, quindi il «bilancio non può che essere positivo». A ricordarlo è proprio il presidente dell’omonima casa farmaceutica Sergio Dompé. Senza di loro «ogni anno l’influenza farebbe ancora più vittime», dice a margine dell’evento Farmindustria, sottolineando inoltre il drastico calo della mortalità infantile dovuto proprio all’immunizzazione da certe malattie. Dunque i vaccini sono fondamentali tanto quanto l’industria farmaceutica; un settore considerato invece dai decisori nazionali e regionali – sottolinea il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin – «prevalentemente una voce di costo». A lungo andare così, secondo lei, si rischia non solo di ridurre i servizi, ma anche di portare «alla marginalizzazione del Paese nella competizione internazionale». Per questo, la tenuta del Ssn non può prescindere dalla «sostenibilità dell’indotto industriale della sanità». Tra le 5M del made in Italy difatti ci sono anche i medicinali, che nei primi nove mesi dell’anno hanno portato all’assunzione di 1.600 giovani under30, con l’export che ha consentito di scalare la classifica mondiale dal 53° posto nel 1991 al 12°. A trainare l’occupazione soprattutto gli investimenti in ricerca e biotech – 1,2 miliardi di euro l’anno – e la crescita della produzione (3%) dovuta alla scelta delle aziende di spostare l’attività in Italia.