Due pillole. Una, il miferpistone, blocca la crescita del concepito. L'altra,
la prostaglandina, somministrata due giorni dopo, provoca l'espulsione
del "materiale abortivo" entro poche ore. O entro qualche giorno, due,
tre, in alcuni casi anche sette, in altri addirittura quindici. Ma per
evitare ritardi, solitamente si ricorre a una seconda dose di prostaglandina:
riduce la percentuale di «espulsioni tardive» e «aumenta l'efficacia del
farmaco». Funziona così, la Ru486. «L'espulsione del materiale abortivo
avviene mediante sanguinamento e contrazioni», spiegano le indicazioni.
Una specie di forte ciclo mestruale, con l'aggiunta di forti crampi addominali.
Rispetto al metodo tradizionale, l'aborto con la Ru486 però «non richiede
né anestesia né intervento chirurgico». Anche se poi, spesso, si deve ricorrere
al raschiamento
Con il nome Ru486 comunemente definita "pillola abortiva" o "aborto chimico"
si designa la molecola costituita da mifepristone e prostaglandine. Il
mifepristone si lega a livello dei recettori per il progesterone, "l'ormone
della gravidanza". La mancata azione del progesterone causa il distacco
dell'embrione dalla parete uterina e cioé un aborto. In Italia il parere
favorevole alla commercializzazione del prodotto da parte dell'Agenzia
italiana del farmaco (Aifa) fu emesso il 26 febbraio del 2008, sulla base
della casistica di 10 decessi riportata allora dalla ditta produttrice
Exelgyn e di 16 indicati, invece, da indagini giornalistiche. Ma la stessa
ditta interpellata dal ministero del Welfare nel febbraio del 2009 ne calcolò
29 (17 per aborto farmacologico e 12 per altro uso). Nel rispetto di quanto
previsto dalla Legge 194/78 che regola l'interruzione di gravidanza, la
pillola va somministrata in regime di ricovero ospedaliero.