Le pietre d'inciampo della famiglia Di Segni-Caviglia a piazza Bologna 6 (foto Luca Liverani)
A poco più di un mese dal furto oltraggioso, le pietre d'inciampo di via Madonna dei Monti sono tornate al loro poste nel rione Monti. Venti sanpietrini placcati d'ottone con i nomi, le date di nascita e di morte di altrettanti ebrei romani delle famiglie Di Consiglio e Di Castro che abitavano al civico 82, vittime del nazifascismo tra Auschwitz e le Fosse Ardeatine. A ricollocarle è stato lo stesso artista tedesco, Gunter Demnig, che ha inventato queste installazioni per tenere viva la memoria diffusa. Circa 300 nel territorio della Capitale, a migliaia in tutta Europa dove si sono diffuse dagli anni '90. Cerimonie analoghe si sono ripetute tra oggi per concludersi domani in altri sei municipi per posizionare sui marciapiedi davanti le abitazioni altre 26 stolpersteine, come si chiamano in tedesco: da via delle Formaci a via della Lungara, da via del Tritone a via Maiella e piazza Bologna e in altre strade ancora.
Alla cerimonia riparatoria in via Madonna dei Monti sono arrivati anche la sindaca Virginia Raggi, il vicesindaco Luca Bergamo, la presidente del Municipio I Sabrina Alfonsi, la presidente della comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello, il rabbino di Roma Riccardo Di Segni, la presidente dell'associazione Arte in memoria Ada Chiara Zevi, l'artista Gunter Demnig. La colonna sonora della installazione l'hanno suonata la piccola orchestra e il coro degli studenti dell'Istituto comprensivo Virgilio di via Giulia che hanno eseguito l'Inno d'Italia, Evenu shalom, La vita è bella e l'Inno alla gioia.
«È stato come se avessero rubato un pezzo della nostra memoria - ha detto la sindaca Virginia Raggi - perché queste pietre segnano il passo e ci ricordano la memoria tragica di questa città. Noi non ci rassegnano a chi vuole strapparci le pietre. Le hanno prese ma non hanno rubato la nostra memoria che ci serve per evitare di inciampare in errori del passato già fatti e puntiamo sulle nuove generazioni, ecco perché qui oggi sono stati invitati tanti studenti». Per la presidente del I Municipio Sabrina Alfonsi «inciampare in queste pietre della memoria ci induce a riflettere nella vita quotidiana, camminando per le strade della nostra città, e non solo nelle commemorazioni».
A non sottovalutare il furto del 10 dicembre è stata la presidente della comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello: «È stato un atto terribile di offesa alla città di Roma, un atto di quell'antisemitismo che sta riemergendo con violenza e forza in questo momento. Ringrazio l'artista che immediatamente si è reso disponibile a scolpire queste pietre in breve tempo per riposizionarle in questa via e ringrazio le famiglie Di Consiglio e Di Castro per la dignità con cui hanno affrontato questo momento».
«Non abbiamo mai creduto al gesto di un pazzo, un collezionista, un ladro. E' stato un grave attacco di matrice fascista e antisemita - ha detto la presidente di Arte in memoria Adachiara Zevi - e da quando dieci anni fa sono state posizionate le prime, tante sono state profanate, sporcate di vernice. Sono stati atti possibili in un clima politico di intolleranza verso i diversi e i più deboli. Installate dalle famiglie ebree ma anche di politici e militari deportati, sono diventate patrimonio pubblico. Chiediamo al Comune che si faccia carico della loro manutenzione. Queste pietre saranno un baluardo quando non ci saranno più i testimoni».
Come in altre strade della città, anche a piazza Bologna, davanti al civico 6, l'artista Gunter Denmig ne ha collocate altre tre nel pomeriggio. Rita Caviglia, 28 anni, il marito Riccardo Di Segni, 34 anni e la loro figlioletta Gianna di 2 anni vivevano qui. Il 16 ottobre 1943 vengono arrestati dai nazisti. Quella mattina il papà di Rita, Giuseppe Caviglia, viene informato della retata in corso. Manda di corsa la domestica ad avvertire la famiglia della figlia. La donna trova la porta spalancata e il vasino da notte della bimba con la pipì ancora calda che Gianna aveva fatto prima di intraprendere il lungo viaggio verso il lager.
«In realtà non sappiamo nemmeno dove siano morti, se ad Auschwitz o durante il viaggio», racconta Emanuela Caviglia, la figlia del fratello di Rita, Lamberto. Che come gli altri fratelli Aldo, Lello ed Enrico si salvarono rifugiandosi chi nel convento delle suore di santa Elisabetta, chi dai frati del sanatorio dell'Immacolata (oggi l'Idi), chi in montagna, chi espatriando in America. «Mio padre, scomparso nel 1979, non mi ha mai raccontato nulla - spiega Emanuela Caviglia che ha partecipato alla cerimonia con altri parenti - per i sensi di colpa o per la rimozione piscologica scelta per superare la tragedia. Queste pietre sono dunque più che mai necessarie per ricordare».