Non è cambiato nulla, l’Italia resta il paese dei campi rom. A oltre 30 mesi dall’avvio della Strategia nazionale per l’inclusione dei rom presentata dal governo alla Commissione europea «permane un approccio emergenziale, continuano gli sgomberi e va avanti la politica dei campi». La denuncia proviene dall’Associazione 21 luglio che ieri, a Milano, ha presentato il rapporto "La tela di Penelope", monitoraggio della società civile sull’inclusione dei rom. Tema attualissimo. Pochi giorni fa a Borgaro, cintura torinese, gli atti di teppismo sul bus dei ragazzi del grande campo dell’Aeroporto hanno spinto il sindaco del Pd a chiedere all’azienda trasporti un autobus solo per loro, suscitando polemiche.All’indomani dell’approvazione, il 24 febbraio 2012, la Strategia era stata accolta positivamente da diversi attori della società civile perché segnava un’importante discontinuità rispetto al passato. In primo luogo, si esprimeva per il superamento della prospettiva emergenziale, dell’approccio assistenzialista, e della soluzione dei "campi nomadi", e si proponeva di promuovere la partecipazione. Ma il bilancio tratteggiato dalla "21 luglio" presenta molte ombre. «La Strategia – spiega il presidente Carlo Stasolla – si percepisce come una meta irraggiungibile, simile alla tela di Penelope: nei propositi mattutini si cuce, nelle azioni concrete si disfa».A parole si prospetta la fine dei campi, nella pratica «sono stati costruiti, progettati o sono in fase di realizzazione 20 nuovi campi rom in tutta Italia», sottolinea Stasolla. Tra questi il progetto approvato il 15 maggio scorso dal Comune di Napoli a Scampia, da finanziare con 7 milioni di euro. In base al rapporto, la situazione segregante degli insediamenti formali e informali riguarda circa 40mila rom e sinti ed essa «continua a caratterizzare la geografia di molte aree urbane».A Milano i campi autorizzati sono passati da sette a cinque (chiuso via Novara, in via di chiusura quello di via Martirano) mentre una quindicina di accampamenti abusivi sono stati sgomberati in città e aree limitrofe. «Aree e campi che esistevano da molto tempo, sono stati chiusi e non più occupati – sottolinea l’assessore alla sicurezza, Marco Granelli – e a tutti gli occupanti offriamo la possibilità di avviare un percorso all’interno dei due centri di emergenza sociale, senza separare le famiglie». Nelle strutture di via Lombroso e via Barzaghi i rom hanno la possibilità di restare sei mesi: gli adulti seguono un percorso di integrazione, i bambini vanno a scuola. «In questi due anni abbiamo accolto 733 persone, circa 500 sono usciti – spiega Granelli – e, di questi, 225 hanno iniziato percorsi di integrazione mentre gli altri, purtroppo, hanno avuto esiti negativi».Il rapporto evidenzia come sia continuato l’approccio emergenziale al fenomeno: malgrado le promesse, gli sgomberi non si sono mai fermati e restano i megacampi. A Roma, sotto la giunta di Ignazio Marino, ci sono stati ben 37 sgomberi, con un costo medio di 1.250 euro a persona. Mentre per la gestione degli 11 insediamenti capitolini si sono spesi 24 milioni di euro nel 2013. «Programmi e attività – si legge nel rapporto – registrano un ritardo generalizzato e l’assenza di indicazioni per la traduzione in chiave operativa degli indirizzi della Strategia». Altro elemento critico: la partecipazione dei rom risulta solo formale a livello nazionale ed è scarsa a livello locale.Le conclusioni avanzano diverse richieste al premier Matteo Renzi. Su tutte il riconoscimento dei rom come minoranza nazionale, la promozione di politiche abitative non discriminatorie per superare i grandi campi monoetnici delle periferie. «È urgente affrontare questa tematica – sottolinea don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità – la situazione è sempre più difficile e bisogna agire presto per evitare che i rom diventino capro espiatorio di tanti problemi».