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La diffidenza ne limita fortemente l’accesso ai servizi sanitari. Così come la percezione di pregiudizi nei loro confronti duri a morire, persino tra gli operatori sanitari. Anche l’essere «apolidi di fatto» ne influenza pesantemente il riconoscimento del diritto alla salute. Sta di fatto che così l’accesso alle cure sanitarie e alla prevenzione è pressoché assente da parte di tutta la popolazione rom e sinti, con enormi differenze a livello territoriale. Portando la loro aspettativa di vita a 15 anni di meno rispetto alla popolazione generale. Eppure, stando allo studio di salute su queste comunità all’interno del progetto Integrazione, sorveglianza sanitaria e comunicazione con la minoranza Rom e Sinti in Italia del Centro di ricerca di Salute globale della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, dal Gemelli e dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) realizzato dai volontari della Croce Rossa Italiana, le cause di malattia e morte tra le popolazioni rom e sinti sostanzialmente ricalcano per percentuali quelle della popolazione generale, con al primo posto le malattie cardiologiche e ischemiche, seguite da quelle tumorali principalmente del colon tra gli uomini e dell’utero tra le donne. A loro così è dedicato il sito web infosaluteromesinti.it, con un linguaggio semplice e tutte le informazioni utili per le comunità, ma anche per i cittadini e gli operatori sanitari.
«Questa non è la fine del progetto, bensì l’inizio, perché tutti hanno il diritto alla salute – sottolinea il responsabile scientifico del Centro studi Salute globale Walter Malorni - Per questo vorremmo fare un ebook e mantenere vivo il portale per fare un servizio alla popolazione. Ma per far ciò abbiamo bisogno di maggiori feedback da parte dei diretti interessati». L’analfabetismo sanitario non caratterizza solo queste comunità, aggiunge Umberto Moscato, direttore del Centro studi Salute globale, «è più diffuso che mai, ecco perché si è pensato alla formazione specifica (Fad) per operatori sanitari, dove persistono luoghi comuni».
Rom e sinti «non devono essere salvati da nulla o civilizzati, ma riconosciuti in dignità e umanità – ricorda monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Migrantes – bisogna accompagnare questo popolo senza presunzione, relazionarsi con loro in amicizia perché così si impara anche noi qualcosa».
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Nel campione preso in esame - 750 questionari che riguardano la situazione sanitaria familiare in 10 regioni italiane, compilati nel 60% da donne – si vede infatti che la maggior parte non fa screening di prevenzione da più di 5 anni, meno del 20% fa controlli semplici come il colesterolo, la glicemia o la misurazione della pressione. Per la prevenzione dei tumori i 2/3 non hanno mai fatto colonoscopia o sangue occulto nelle feci, il 60% delle donne il pap-test e circa il 50% non ha mai fatto una mammografia. Sulle vaccinazioni obbligatorie, inoltre, solo un quarto degli intervistati riferisce che la sua famiglia ha vaccinazioni in regola, per il resto addirittura non sa quali siano le vaccinazioni obbligatorie e quelle effettuate, compreso il Covid. Infine, sulla tubercolosi meno del 10% si è vaccinato e lo 0,4% con casi in famiglia ha eseguito screening preventivi.
Le risposte che arrivano già dai dati prelimiari, per quelli definitivi bisognerà aspettare ancora un po’, «sono a tratti spiazzanti, dobbiamo ricrederci su tanti pregiudizi – sottolinea Roberto Bortone dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) – primo fra tutti che rom e sinti non vogliono curarsi. Senza dimenticare che chi è stato studiato da questa analisi è solo il 20% che vive nei campi, anche il resto della comunità aspetta risposte». L’augurio di Walter Ricciardi, ordinario di Igiene nel dipartimento Scienza della Vita e Sanità pubblica della Cattolica, è «la stabilizzazione di questo percorso, come riposta locale a un problema globale».