giovedì 27 settembre 2012
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Due diritti che si scontrano: quello di un figlio adottivo a conoscere la verità sul suo abbandono e quello di una madre che ha chiesto, nel dare alla luce un bambino, che su quel giorno cadesse una pietra tombale. Il piatto della bilancia, per la legge italiana, pende a favore della madre. Un errore, secondo la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. La condanna inflitta all’Italia, che comunque può essere oggetto di ricorso, mette in discussione uno dei capisaldi del parto in anonimato, cioè la segretezza perpetua. «Questa normativa, in vigore da decenni e che riguarda solo i figli nati fuori dal matrimonio – osserva Alda Vanoni, ex presidente di "Famiglie per l’accoglienza", madre adottiva e magistrato in pensione – grazie alla segretezza del parto vuole scoraggiare l’aborto, l’abbandono in strada dei neonati o, peggio ancora, l’infanticidio». Solo la Francia, in Europa, tutela la madre in questo modo, ma Oltralpe c’è la possibilità per un figlio di chiedere una deroga al Tribunale. In Germania non esistono analoghi paletti, ma per arginare gli abbandoni e gli aborti sono state installate numerose "culle per la vita". La "rigidità" italiana (commi 5-8 della legge 184 del 1983) ha ancora un senso? «Certo. Essa protegge il bambino perché gli permette di nascere e di avere una famiglia». Ma secondo la Corte di Strasburgo c’è un conflitto con l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, laddove stabilisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare di un individuo. «L’unico problema potrebbe nascere dalla mancata conoscenza delle vicende sanitarie della famiglia biologica per eventuali percorsi di malattia», risponde Alda Vanoni. Secondo la Corte di Strasburgo l’Italia non ha cercato «un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco». In Parlamento giacciono diverse proposte di legge che riguardano il "parto segreto", tutte rivolte a rafforzare i sostegni e le tutele di riservatezza della madri. Altre proposte, che riguardano la "ricerca delle origini degli adottati", chiedono invece di ammorbidire la normativa, in particolare accorciando il termine di 100 anni per accedere ai fascicoli delle madri che non hanno riconosciuto il figlio alla nascita. Un dibattito che non esiste per Donata Nova Micucci, presidente della storica "Associazione famiglie affidatarie e adottive" (Anfaa). «Per noi il parto in anonimato, con la certezza per la madre di non essere mai più contattate, significa ridurre gli abbandoni, gli aborti e gli infanticidi e aumentare la possibilità che figli non voluti nascano ben assistiti negli ospedali». Ma questo, sostiene la Corte di Strasburgo, viola il diritto del figlio a conoscere la sua storia... «Per noi la storia di un figlio non è legata al volto di chi lo ha messo al mondo ma di chi lo ha cresciuto e amato». Quanto ai casi di malattie genetiche sulle quali è necessario indagare nella genealogia, secondo Donata Nova Micucci i tribunali possono comunque contattare la "madre segreta" per ottenere le informazioni necessarie. Più possibilista e aperta a un confronto è Anna Guerrieri, presidente di "Genitori si diventa", un’associazione di famiglie adottive. «Penso che sia venuto il momento per discutere su una nuova proposta di legge, naturalmente soppesando i pro e i contro. Nella normativa italiana vengono a scontrarsi due diritti e viene fatto prevalere quello della madre a restare anonima. Ciò è discriminatorio se pensiamo al caso di figli adottivi stranieri, che invece entrano in possesso dell’intero fascicolo sui genitori biologici anche in tenera età. Io credo invece che bisogna riconoscere come fondamentale il diritto della persona adottata ad accedere ad alcune informazioni di base su se stesso, ad esempio come e perché è avvenuto l’abbandono, lo stato di salute di padre e madre biologici». Non si nasconde, la Guerrieri, che cancellare la segretezza del parto potrebbe mettere a rischio la nascita di tanti bambini, ma «credo che si possano trovare vie di mezzo, strumenti legislativi intermedi, come tempi abbreviati rispetto ai 100 anni previsti, modalità "soft" di contatto della madre». Il dibattito è aperto.
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