venerdì 11 marzo 2011
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La riforma «epocale» della giustizia non fa in tempo a uscire da Palazzo Chigi per raggiungere il Parlamento che già viene investita da un temporale: le opposizioni si dividono tra la bocciatura senza appelli dell’ex pm Di Pietro e l’apertura con riserva del Nuovo Polo, passando per un ventaglio di critiche del Pd di scettici e contrari. Tra questi si inserisce un Massimo D’Alema disposto a vedere le carte, ma solo a condizione che Berlusconi si dimetta.Così quel dialogo difficile a cui continua instancabilmente ad appellarsi il capo dello Stato stenta a partire, già dalle prime battute. Come prevedibile, Antonio Di Pietro ha già formulato l’unico emendamento che presenterà l’Idv che è abrogativo del provvedimento del governo, e insieme anche il testo del referendum popolare, certo che la riforma non avrà alle Camere il quorum sufficiente ad evitarlo.Ma secondo Pier Luigi Bersani non si arriverà mai neppure alla consultazione popolare. Si tratta solo di «chiacchiere», dice il leader del Pd, «un diversivo». Al dunque, continua, «si butterà la palla avanti per due anni, con una discussione a vuoto su una riforma costituzionale, mentre i problemi della giustizia sono completamente dimenticati». Certo, incalza Bersani, se invece il premier «vuole il confronto noi abbiamo 3-4 proposte su cui siamo interessati a discutere da domani».A una condizione, però. quella dettata dal presidente del Copasir Massimo D’Alema, e cioè che Berlusconi liberi il campo. «C’è un problema sostanziale di credibilità – motiva il presidente di una delle Bicamerali per le riforme – . In tutti questi anni Berlusconi è stato di ostacolo a qualsiasi riforma perché privo di qualsiasi condizione di terzietà» e ha fatto «fallire la Bicamerale». Ormai si tratta di «un pentimento tardivo».E sullo stesso piano si schiera anche il capogruppo alla Camera Dario Franceschini, che parla di «imbroglio», di una «mera operazione d’immagine». Questa proposta, spiega in linea con la collega al Senato Anna Finocchiaro, «ha come unico scopo punire i pm e metterli sotto l’esecutivo». Unica voce fuori dal coro, quella di Marco Follini, per il quale il Pd non dovrebbe «arroccarsi: non mi convince il progetto del governo, ma credo che ci dobbiamo sforzare di entrare nel merito».Una possibilità che non escludono soprattutto nel Nuovo Polo. «La Costituzione non è un tabù, può essere rivista ma certo alcune frasi del premier sono inquietanti» sintetizza il leader Udc Pier Ferdinando Casini (che non ha gradito le parole sul Mani pulite). Anche Francesco Rutelli è cauto sulle possibilità di un «proficuo» confronto con il governo ma giudica «positivo» il fatto che Berlusconi neghi norme «ad personam». Più articolata la posizione di Fli, con Giuseppe Consolo che invita al «confronto» e il capogruppo alla Camera Carmelo Briguglio che si domanda se il premier lo voglia il «confronto o se voglia fare propaganda». Mentre Fabio Granata, vicepresidente della commissione antimafia, nota che «una riforma siffatta non può trovare il consenso di una Destra repubblicana e legalitaria che ha nel suo pantheon Paolo Borsellino». Non a caso il vicepresidente di Fli Italo Bocchino chiede garanzie: «Da qui a fine legislatura non ci siano leggi ad personam né norme punitive nei confronti dei magistrati».
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