Alcuni giorni fa, a pochi chilometri dal centro storico di Nola, il "Forum Ambiente" locale ha scovato un’enorme discarica a cielo aperto costituita da copertoni, eternit e scarti di ogni tipo con evidenti segni di combustioni: dopo i roghi quotidiani di fine agosto è stata l’ennesima conferma che nella "Terra dei fuochi" la situazione era e resta gravissima. All’inizio del mese in corso, l’avvocato generale della Corte di giustizia Ue ha ufficializzato la sua proposta di sanzione per l’Italia a causa di impianti abusivi e mancate bonifiche: multa forfettaria di 60 milioni di euro a cui si aggiungono 158mila euro al giorno fino a quando il Belpaese non sarà in regola. E ancora: la scorsa settimana il Corpo forestale dello Stato di Serra San Bruno ha denunciato il sindaco di Spadola (provincia di Vibo Valentia) per la realizzazione di una discarica abusiva su un’area adiacente al locale cimitero. Il 3 settembre la Guardia di finanza di Luino (Varese) ha sequestrato un’altra discarica abusiva a Cadegliano Viconago, dove un’area di oltre 10mila metri quadrati era ricoperta da rifiuti pericolosi. Lo stesso giorno, a causa del superamento di alcuni parametri di legge, il "Servizio rischi industriali" della regione Puglia ha disposto la chiusura della discarica di Trani. Ecco: probabilmente basta già questo elenco di avvenimenti recenti per convincersi di come oggi nella nostra Penisola si stia vivendo una vera e propria "emergenza rifiuti" generalizzata. Tuttavia, per avere un quadro chiaro e definito dello stato in cui versa quella che potremmo definire la "pattumiera Italia", occorre entrare nello specifico. Bisogna conoscere, cioè, i dati, il numero degli impianti di smaltimento presenti a livello nazionale (e se ci sono differenze tra loro per ciò che concerne i "carichi di lavoro"), la quantità di scarti prodotti annualmente. Ma, in particolare, è necessario effettuare una serie di distinzioni. Il termine "rifiuti", infatti, è troppo generico. Per cui la spazzatura va suddivisa anzitutto in due grandi categorie: i rifiuti urbani e quelli speciali.
I rifiuti urbani. In questo primo gruppo rientrano i rifiuti domestici, quelli provenienti da locali o luoghi di lavoro, i rifiuti derivanti dalla pulitura delle strade o delle spiagge e anche gli "scarti" vegetali di parchi e giardini pubblici. Quanti se ne producono in un anno? Complice la crisi economica e la conseguente flessione dei consumi interni, si è registrato un calo. L’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ente sottoposto alla vigilanza del ministero dell’Ambiente) ha rilevato come in Italia nel 2013 siano stati prodotti 29,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, (l’1,3% in meno dell’anno precedente). La raccolta differenziata è cresciuta di due punti e ha raggiunto quota 42,3%, anche se ad alzare la media sono soprattutto le regioni settentrionali visto che la percentuale del Sud è del 28,9%. Permangono, tuttavia, notevoli criticità. Se, infatti, l’utilizzo della discarica si è ridotto (-6,8%), resta comunque un metodo ancora molto – anzi, troppo – diffuso: 37%. Non solo: nonostante il divieto previsto da un decreto legislativo (Dlgs 36/2003), nel 2013 il 42% dei rifiuti urbani è andato a smaltimento senza essere sottoposto ad alcuna forma di trattamento preliminare.
I rifiuti speciali. Ma il “grosso” della produzione nazionale di immondizia – almeno l’80% – è costituito dai cosiddetti "rifiuti speciali". Sono quelli che derivano da lavorazioni industriali, da attività commerciali, dal recupero e smaltimento di rifiuti urbani; sono fanghi prodotti da trattamenti e dalla depurazione delle acque reflue, sono le sostanze e gli oggetti di risulta dell’attività sanitaria e le apparecchiature dei veicoli a motore. Poi ci sono rifiuti pericolosi (urbani o speciali) e sono tutti quelli che contengono al loro interno dosi elevate di sostanze pericolose: come i medicinali scaduti o le pile esauste (rifiuti urbani) o gli scarti della raffinazione del petrolio, dell’industria chimica, metallurgica, conciaria e tessile (speciali) e che quindi devono essere gestiti con procedure specifiche. Sono quasi esclusivamente gli scarti industriali altamente tossici a causare disastri ambientali e a nuocere alla salute, provocando malattie e morte come è avvenuto – e continua ad avvenire – nella "Terra dei fuochi". Sui rifiuti speciali purtroppo non sono disponibili numeri aggiornati come per la categoria degli "urbani". L’ultimo rapporto Ispra risale infatti al 2012 e fotografa la situazione a quattro anni fa. «L’edizione del 2014 con dati relativi al 2012 dovrebbe uscire nel giro di due o tre mesi – spiega Rossella Laraia, responsabile dei rapporti sui rifiuti –. Il ritardo è dovuto al fatto che, al contrario di quanto accaduto per i rifiuti urbani, nel caso degli "speciali" non possiamo contare sull’invio telematico di dati e informazioni». Nel 2010, comunque, la situazione era già allarmante: sono stati prodotti circa 137,9 milioni di tonnellate di rifiuti speciali (2,4% in più rispetto al 2009), di cui 128,2 milioni «non pericolosi» e oltre 9,6 milioni «pericolosi». E nel frattempo ci sono tutti gli elementi per credere che il quadro sia ulteriormente peggiorato.
Criminalità e rifiuti. Gli affari della criminalità organizzata con la spazzatura non conoscono crisi. Secondo Ecomafie, il dossier di Legambiente che monitora e denuncia annualmente il fenomeno, il business illegale dei rifiuti speciali nel 2013 è stato pari a 3,1 miliardi di euro. Nonostante si sia registrata una lieve flessione dei proventi derivanti dall’attività ecocriminale nel suo complesso (passata nel giro di dodici mesi da 16,7 miliardi a 14,9), i reati ristretti al ciclo dei rifiuti sono aumentati passando da 5.025 a 5.744 (+14,3%), con 6.971 denunce (+15,9%) e 90 arresti (+3,4%). Il 40% dei reati, inoltre, si verifica in quattro regioni: Campania, Puglia, Calabria e Lombardia.