domenica 3 aprile 2011
Sul territorio sono iniziati i lavori sui 16mila alloggi meno danneggiati e le strade sono libere dalle macerie, ma tra enti locali e istituzioni è caos, con delibere spesso in contraddizione tra loro.
- I mattoni della carità una garanzia sul futuro
- La Caritas per L'Aquila (video di Tv2000)
COMMENTA E CONDIVIDI
All’Aquila, per riparare l’abitazione danneggiata bisogna sopravvivere due volte: prima al terremoto e poi alla burocrazia. Stando all’ordinanza 3.857 del 10 marzo 2010, il contributo dello Stato si trasmette agli eredi solo se il de cuius è scomparso prima della pubblicazione del provvedimento. In caso contrario, figli e nipoti dovranno mettere mano al portafoglio… Bizzarrie di una ricostruzione che, tra ordinanze e perimetrazioni, faide politiche e inchieste giudiziarie va per le lunghe.«Ricostruzione, la burocrazia frena»: è il titolo dell’inchiesta pubblicata da Avvenire un anno fa. A due dalla scossa che ha fatto 309 morti questa è la situazione: con un’operazione da 14 miliardi, il governo ha dato un tetto a 70.000 sfollati (e giova ricordare che chi contesta la provvisorietà delle Case di Berlusconi due anni fa si oppose alla new town, la ricostruzione leggera è finalmente partita (si lavora sui 16.000 alloggi meno danneggiati) e sono state liberate le strade dalle macerie.La gestione governativa dell’emergenza è stata da manuale, ma da quando sono subentrati gli enti locali si è scoperto che «ricostruire è più complesso perché quello del 6 aprile 2009 – spiega il responsabile dell’Istituto delle tecnologie della costruzione (Cnr) Giandomenico Cifani – è paragonabile a quattro terremoti diversi: è stato colpito un capoluogo di Regione devastando un importantissimo centro storico; sono stati danneggiati in modo diffuso edifici in cemento armato tant’è che non sarebbe sbagliato demolire e ricostruire tutti quelli precedenti agli anni ’70; alcuni centri (Villa S.Angelo, Casentino, S. Eusanio Forconese, Tempera, Castelnuovo, oltre ad Onna ecc.) presentano danni analoghi al sisma dell’Irpinia e altri al terremoto Umbria-Marche. Quattro situazioni diverse che richiederebbero procedure, modalità e tempi di intervento diversi, mentre per le prime ordinanze costruzioni in cemento e in muratura erano la stessa cosa».Come se non bastasse, da qualche mese è in corso un quinto terremoto, quello della governance: non passa giorno che il commissario per la ricostruzione Gianni Chiodi (PdL) non accusi il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente (Pd) di remare contro, rifiutandosi di applicare ordinanze e decreti, e che l’altro non denunci «le mani sulla città» e il «commissariamento kabulista» che «impedisce di riportare a casa gli aquilani». I progetti sono fermi, ordinanze e delibere non dialogano e si rischia il replay dei ritardi accumulati nella ricostruzione leggera. Entro fine giugno, gli uffici riceveranno le 15.000 domande delle case inagibili, 12.000 solo all’Aquila. È stato dato il via libera qualche giorno fa, ma si teme uno tsunami burocratico. E non si parla ancora dei centri storici (400 ettari), dove i cantieri saranno finanziati solo dopo l’approvazione dei piani di ricostruzione: lo prevede la legge 39 e lo esige il commissario, ma il Comune dell’Aquila, sostenendo che basta il prg, rifiuta di presentare il proprio piano, salvo poi pubblicarne ampi stralci su internet. Il nodo non è finanziario: la Cassa Depositi e Prestiti è pronta a erogare 1,4 miliardi. Per aggiudicarseli, i proprietari delle case danneggiate del capoluogo debbono superare quattro livelli di controllo (negli altri comuni del cratere la procedura è più semplice), resi farraginosi da ordinanze e decreti che si rincorrono, sostituendo e integrando, precisando e reinterpretando, correggendo e complicando... Eugenio Carlomagno guida il consorzio di piazza San Pietro: «se il Comune non approva l’aggregato - dice - siamo fermi; tuttavia, se il commissario non chiarisce il prezzario non troveremo ditte disposte a restaurare i palazzi storici». Nel luglio scorso, in effetti, si scoprì che, in base a un’ordinanza, tutti i lavori, compresi quelli sui palazzi rinascimentali, dovevano uniformarsi ai costi dell’edilizia residenziale pubblica e ci fu una sollevazione di ingegneri e architetti, ditte di costruzioni e proprietari. La norma fu modificata solo sei mesi dopo, ma tutto si fermò nuovamente, perché in un altro decreto ci si era sbagliati a scrivere "superficie netta" invece di "superficie lorda": in pratica, il restauro delle parti comuni non può essere indennizzato. In Comune girano il coltello nelle ferite, per far saltare il capo della struttura tecnica di missione, Gaetano Fontana. «Chi decide non ha esperienza di terremoti e così nascono mostri - dice l’assessore alla ricostruzione del Comune dell’Aquila, Pietro Di Stefano -. Ad esempio, l’ordinanza 3881 ha legato la ricostruzione degli edifici storici al limite di convenienza, ma è un parametro che si usa nel caso delle abitazioni civili danneggiate per incentivarne la demolizione...» Si è messa una pezza con un nuovo decreto, sulla cui efficacia i pareri sono discordi.Mentre gli ordini professionali intimano a Chiodi - con un documento in 17 punti - di chiarire le questioni aperte (e Chiodi risponde via web), Pantalone paga: tra Case, Map, affitti, hotel e autonome sistemazioni, 38.000 persone alloggiano a carico dello Stato e la prospettiva di restituire il centro del capoluogo ai suoi 9.000 residenti e al turismo si allontana. «Entro giugno chiuderanno tutte le istituzioni culturali della Città, dal teatro stabile ai Solisti aquilani»: Cialente fa il pianto greco ma Chiodi non deflette. Ha appena varato un programma da 448 milioni per riparare gli edifici pubblici e ha «confermato l’obbligo per il Comune di redigere il piano di ricostruzione per il centro storico, propedeutico all’assegnazione dei fondi». Di Stefano obietta che la legge non prevede alcun automatismo finanziario ma ormai è chiaro che il "piano" è un totem intorno al quale - sotto gli occhi esterrefatti dei terremotati - ci si contende la governance. Siamo tornati in via Caserma Angelini, dove un anno fa di questi tempi l’avvocato Fausto Corti sperava di iniziare i lavori «in ottobre». Con alcuni colleghi ha appena diffidato il sindaco a presentare il piano «altrimenti, dice, non riparerò più casa mia». La sua associazione si chiama "Avvocati senza dimora".
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: